la carica passionale insita nel vivere
GIOVACCHINO MARIMPIETRI
SOGNO D’AMORE
TORMENTO ED ESTASI
DI UNA ETERNA ILLUSIONE
EDITRICE TOTEM
analisi critica di
Selene Cinelli
La densa autobiografia dell’architetto Marimpietri, che scorre agevole e veloce attraverso il corso della sua fanciullezza, adolescenza e prima giovinezza, si snoda lungo diversi fili conduttori che s’intrecciano fra loro, creando una miscellanea di spunti emotivi, sentimentali, storici e sociali che permette una pluralità di approcci al testo. Il dipanarsi della trama dei ricordi si svolge attraverso un flusso di memoria continuo suscitato dall’imprimersi fotografico degli accadimenti di vita nella mente dell’autore, il quale rievoca il tempo passato con la precisione data da una attenta osservazione della realtà circostante, da sensi visibilmente e costantemente all’erta per captare ogni sfumatura, ogni impressione da conservare nella memoria, per poi poter essere richiamata intatta e al contempo scevra dal turbine del momento vissuto, come la pregnanza e la persistenza di un odore riporta immediatamente a sensazioni e avvenimenti passati.
Tale meccanismo risulta facilitato dallo stesso tempo intercorso fra la narrazione (risalente agli anni ’90) e il narrato (racchiuso fra gli anni ’20 e ’40 del secolo scorso), che ha dato tempo ai ricordi di sedimentarsi e di avvolgersi in una veste differente rispetto a quella propria di avvenimenti recentemente accaduti e non ancora del tutto assimilati, la quale forza emotiva sarebbe risultata ancora troppo coinvolgente ed esplosiva rispetto ad una successiva maturazione sia emotiva che razionale del vissuto stesso.
Difatti, sebbene per una corretta contestualizzazione sia necessario riuscire a trasmettere la carica passionale insita nel vivere quotidiano quanto nei grandi eventi storico-sociali, che denota e contraddistingue l’agire umano, è altrettanto necessario attuare una sedimentazione temporale che consenta di analizzare e presentare gli avvenimenti, oltre che attraverso l’imprescindibile soggettività della narrazione, attraverso un’angolazione obiettiva ed oggettiva, dove la razionalità giochi un ruolo più centrale, elemento questo di difficile reperimento in rapporto ad accadimenti troppo recenti ed emotivamente coinvolgenti.
Uno dei principali fili conduttori dell’autobiografia è la “educazione sentimentale” dell’autore, il quale ci introduce alla sua vita attraverso il percorso amoroso prepotentemente passionale che l’ha denotata e che maggiormente è rimasto impresso proprio perché sostenuto da quegli elementi emotivi e psicologici che si insediano nella memoria lasciando un segno, indelebile proprio perché conservato gelosamente e mantenuto accuratamente vivo e vibrante, per poterne successivamente riassaporare l’intensità e non farlo morire.
L’iniziazione alla vita amorosa dell’autore avviene precocemente e seguendo un naturale istinto primordiale che prende il sopravvento sulla razionalità e sulla maturità stessa del narratore, il quale si trova catapultato in una dimensione dai tratti vagamente onirici e al contempo costituita di schietta sensualità e richiamo ad un sentire innato, un coinvolgimento tangibile e inarrestabile dei sensi che si esplicita improvvisamente, svelando una propensione sempre presente ma sino a quel momento sopita.
Il periodo di riferimento, a cavallo degli anni ’20-’30 del ‘900, fa da teatro a queste vicende amorose che sono di conseguenza connotate da un approccio alla sensualità più spontaneo, privo di malizie per così dire “post-moderne”, le quali hanno portato ad una sorta di ribaltamento del senso del pudore e di come viene concepita e vissuta la sessualità: priva di falsi tabù nel privato e censurata nel pubblico prima; pubblicamente “liberalizzata”, spesso inibita e feconda di problematiche nel privato nei periodi successivi.
L’autore viene quindi a confrontarsi già dall’età infantile con quell’elemento femminino che contraddistingue il dialogo “di genere” dalla notte dei tempi e che prescinde da età anagrafiche e storico-sociali, ma che risiede nell’intimo confronto maschio-femmina, da sempre avvolto in un’aura di affascinante ed ineffabile mistero, dove coesistono opposti che si attraggono, l’ etereo incanto e il rapimento dei sensi. Il Marimpietri quindi si trova già da bambino ad essere soggiogato dal fascino misterioso dell’universo femminile, da una dimensione così vicina e concreta ma che si esplicita in un mondo parallelo ricco di risvolti e galassie da scoprire ed esplorare, nel quale è facile perdersi e rimanere intrappolati.
Gli amori dell’autore vanno in tal modo a configurarsi in archetipi di figure femminili riscontrabili nelle letterature di tutti i tempi, definibili da assoluti quali La Scoperta, l’Amore Platonico, l’Ammaliamento, l’Oblio. Seguendo questa linea interpretativa, si possono riscontrare, nei ritratti di bambina-donna delineati dall’autore, gli archetipi femminili omerici dell’Ulisse: Assuntina, la bambina per la quale il Marimpietri bambino prova un profondo sentimento di amicizia, un attaccamento candido e affettuoso, ricorda la figura premurosa ed eterea di Nausicaa, un ideale di purezza, di dedizione e di amore disinteressato, il quale arco si conclude con un profondo disincanto. Tale può essere considerato l’amore adolescenziale dell’autore, Tatiana, per la quale egli prova per la prima volta un sentimento profondo, che va al di là del coinvolgimento dei sensi.
L’ammaliamento, la precoce scoperta della sensualità sono da ritrovarsi nella figura di Maria, giovane donna che inizia il Marimpietri ancora bambino ai misteri della sessualità, trascinandolo in un vortice di sensazioni ed emozioni mai provate e che gli anticipano il mondo adulto: in lei si può riscontrare l’immagine di Circe, l’incantatrice per eccellenza, colei che con le sue arti sa legare a sé la mente e i sensi maschili, che solo grazie alla voluta rottura dell’incantesimo possono liberarsi dalla malia; un delineamento simile si ritrova anche in un’altra Maria, donna più matura che nel periodo di servizio militare del giovane Marimpietri in Sicilia, lo ammalierà a sua volta.
Tre figure sono poi fondamentali per rappresentare l’essenza dell’amore interrotto, di un coinvolgimento che trasporta in un accogliente e piacevole oblio per poi subire una brusca cesura causata da elementi esterni ostili, che non permettono agli accadimenti di giungere a compimento, alla loro fine naturale. Ciò è riscontrabile nell’attrazione adolescenziale per Lucia, caratterizzata da un coinvolgimento prettamente sensuale; nell’infatuazione già adulta per Maria Rosaria, appena assaporata ma lasciata in sospeso; nell’amore più maturo per Iolanda, legame che per primo investe tutte le sfaccettature dell’attrazione amorosa e che verrà spezzato dagli accadimenti bellici della seconda guerra mondiale. Queste tre figure sono riconducibili all’archetipo di Calipso, rappresentante l’elemento della fuga dalla realtà, del rifugio onirico e di una dolce dimenticanza, dalla quale si viene risvegliati per tornare inesorabilmente alla realtà.
L’altro elemento che scandisce e coinvolge la vita dell’autore nella sua giovinezza adulta è appunto il secondo conflitto mondiale, del quale egli ci porta un ritratto vivido e ben delineato, che acquisisce respiro grazie alla narrazione del suo privato sullo scenario di avvenimenti storici vissuti in prima persona.
In questo senso, la memorialistica risulta particolarmente utile per la comprensione degli avvenimenti storici da parte di generazioni già distanti nel tempo, che altrimenti non potrebbero reperire nessun altro mezzo per accostarsi ad esperienze troppo lontane dal vivere attuale, necessarie invece per comprendere la propria provenienza storica, civile, umana.
Marimpietri inoltre ci offre una prospettiva di lettura differente della guerra civile post-armistizio, la quale troppo spesso viene riportata sommariamente non tenendo conto di realtà che hanno coinvolto un largo strato della popolazione e che rischiano di andare perdute. Infatti, non sempre chi si attribuisce titoli di “difensore della patria” può in tutta onestà affermare di aver agito secondo questo alto ideale; la bestialità e l’ingiustizia risiedono spesso anche in coloro che dalla storia vengono ricordati quali “liberatori” o “combattenti per la libertà”, epiteti che sono stati soventemente strumentalizzati per coprire il perseguimento di interessi particolaristici o condotte inumane.
Richiamando il titolo di quest’opera, l’eterna illusione risiede nella rimembranza di vite, sentimenti, ideali spezzati prematuramente, che non hanno avuto l’occasione di svilupparsi appieno, crescere e concludere il proprio naturale ciclo vitale, lasciando a coloro che rimangono al contempo la possibilità di non farli morire del tutto e il tormento per quello che sarebbe potuto essere ma non è stato, ciò che rende la vita quel frutto dolce-amaro pieno di speranze e disillusioni che tutti assaporiamo.
Selene Cinelli
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GIOVACCHINO MARIMPIETRI
SOGNO D’AMORE
TORMENTO ED ESTASI
DI UNA ETERNA ILLUSIONE
EDITRICE TOTEM
Analisi critica di
Luigi Quercetti
Il critico letterario Arrigo Heine, parlando dell’Ulisse di Omero, lo definiva «il poema delle avventure e della nostalgia, antico e pur sempre nuovo: nelle sue pagine mormora il mare». Queste parole potrebbero benissimo essere spese per descrivere Sogno d’Amore. Tormento ed estasi di una eterna illusione, il romanzo autobiografico di Giovacchino Marimpietri, un uomo che della sua vita ha fatto una lunga e prolungata esperienza estatica. L’autore, nato nel 1921, attraverso la sua storia ci riporta indietro negli anni in Calabria, raccontandoci le vicende di un’Italia che non c’è più e di esperienze di cui oggi non si riesce più a sentire l’odore ed a gustare il sapore.
Marimpietri ci trasporta nei suoi ricordi che sono un’odissea di sensazioni e di tentazioni, di lacrime e di risate, il tutto narrato attraverso la minuta descrizione di ogni dettaglio, di ogni situazione e di ogni personaggio, coinvolgendo il lettore in un’esperienza in cui sembrano essere impegnati tutti e cinque sensi. In Sogno d’Amore, l’autore è come Ulisse, costretto dalle circostanze della vita ad errare di città in città, alla ricerca di quella tranquillità che solo la pace dei sensi riuscirà a dargli. La figura femminile è al centro di tutta la peregrinazione di Marimpietri: se nell’Odissea di Omero la donna è il mezzo attraverso cui il “Puer Aeternus” riesce a convivere con il “Senex” (e l’eroe con l’uomo), le donne di Marimpietri sono la chiave per comprendere l’atteggiamento dell’autore verso la vita. Ogni donna presente in Sogno d’Amore, infatti, racchiude gli archetipi femminili descritti nei poemi omerici attraverso le figure di Nausicaa, Penelope, Circe e Calipso. Sogno d’Amore inizia proprio con la descrizione dei primi amori dell’autore, i primi incontri con Mimma, una sorta di dea Calipso che fa conoscere i piaceri carnali all’autore. Il luogo in cui hanno luogo questi incontri è un edificio abbandonato, in cui Marimpietri, come Ulisse sull’isola di Ogigia, è prigioniero dei sensi e delle passioni di questa giovane donna. Mimma è il mezzo attraverso cui Marimpietri prende coscienza della sua vera natura di essere umano dando sfogo ai suoi istinti più animaleschi. Ma la peregrinazione del suo animo non finisce qui. Maria, una donna molto più matura di lui, lo introduce ai veri sapori della carne. È lei la maga Circe, che si innamora però non “dell’uomo” Marimpietri, bensì della sua purezza ed innocenza di bambino. Costretto dalla vita, Marimpietri viene strappato via dal suo amore ed arriva a Sondrio, dove il padre lavora. Qui un altro incontro cruciale che segnerà per sempre la vita dell’autore: Tatiana. “Con lei, per la prima volta, avevo avvertito una strana diversità di sentimenti; mi sentivo attratto non da pensieri impuri ma da qualcosa che mi tormentava l‘animo quando non potevo starle vicino” dice Marimpietri in uno dei momenti più alti del romanzo. Tatiana non ha nulla di sensuale, Tatiana è la purezza, l’amore verso le cose semplici, il fine ultimo di tutto il romanzo. In Tatiana possiamo riscontrare la figura di Nausicaa, che racchiude in sé le figure più pure e più care all’autore: la madre, la zia Ninetta e le sorelle, che rappresentano l’espressione più tenera dell’amore che un uomo può riserbare per una donna. Ma l’odissea di Marimpietri non è finita. Ancora una volta il destino mette l’autore “a dura prova”. Ed ancora una volta l’autore riesce trovare l’amore in ogni cosa e a trovare la forza per andare avanti nonostante le difficoltà della vita. Infatti, sarà di nuovo l’amore puro e senza malizia verso una donna (suor Caterina) a salvare l’autore dall’oblio. Nemmeno lo scoppio della seconda Guerra Mondiale riesce a rompere quell’estasi di amore che Marimpietri ha inseguito per tutta la vita: spedito in Sicilia per esigenze militari conosce la guardarobiera Maria, con cui instaura una relazione basata sulla passione e sul fervore della carne. Con la fine delle ostilità, l’autore però viene sopraffatto dall’amarezza: Marimpietri si rende conto che il mondo è cambiato e che l’innocenza che caratterizzava l’Italia pre-bellica è ormai una condizione perduta. O forse è l’animo stesso dell’autore ad essere mutato?
Marimpietri ci offre insomma un vero e proprio viaggio passionale, in cui ogni relazione amorosa è sì un sogno, ma anche un tormento a causa del destino che troppo spesso è avverso. L’autore è costretto a lasciare ogni donna che incontra e che ama, ma è proprio grazie a questo forte sentimento che cova nel petto (e nelle carni) che permette a Marimpietri di vivere e di andare avanti fino ai giorni nostri, consentendogli così di mantenere vivo il suo ricordo di giorni ormai dimenticati e di preservare il suo animo di fanciullo. Attraverso la sua vita, l’autore ci riporta in un’epoca funestata dalla guerra e dalla povertà, dove però ad essere esaltate sono le piccole cose, dove ogni azione ha un significato e dove la poesia si nasconde dietro ai ricordi di un’epoca che non esiste più. L’Itaca di questo “Ulisse” contemporaneo è la pace, l’amore e il desiderio di vivere ogni giorno un’intensa esperienza estatica, come se fosse un sogno da cui ognuno non vorrebbe svegliarsi mai.
Luigi Quercetti
il cassetto che custodisce i segreti
GIOVACCHINO MARIMPIETRI
SOGNO D’AMORE
TORMENTO ED ESTASI
DI UNA ETERNA ILLUSIONE
EDITRICE TOTEM
Analisi critica di
Erika Atzori
La funzione della memoria
Aneddoti riplasmati dalla memoria, ricordi lontani di un tempo mai troppo lontano, che si aggrappano al presente e si fondono con esso.
Luoghi, volti, profumi e sapori dei vecchi tempi andati, al ricordo dei quali la schiena è ripercorsa da un ultimo brivido.
La memoria, il cassetto che custodisce i segreti nel tempo. L’unico strumento per rivivere qualcosa che non è più, ma al quale si è nostalgicamente legati.
La dimensione onirica del ricordo per sopravvivere ad un presente tragicamente reale, caduco ed insoddisfacente.
Rimembrare per tentare di rivivere, attraverso una revisione degli eventi remoti, sentimenti antichi interpretati sotto una luce soffusa. Velata dalla memoria. Eppure apparentemente così reale.
E’ la nostalgia a fare da motore alla stesura del memoriale di Giovacchino Marimpietri. L’esigenza di mettere insieme tutti i tasselli di uno stesso mosaico attraverso un malinconico sguardo retrospettivo di cui sono permeati i commenti di Sogno d’amore. Tormento ed estasi di una eterna illusione.
Ricordi che si affollano nella mente: sequenze in bianco e nero di luoghi, fatti e persone care che si intrecciano e si rincorrono in un incessante e caotico ritmo, al quale porre ordine. Un caos interiore che solleva la polvere per anni rimasta ben nascosta sotto il tappeto, a giacere muta, in silenzio, in attesa che lo scrittore le desse di nuovo vita con la sua penna.
Ma, perchè ricordare? Perchè aprire uno scrigno stracolmo e traboccante di ricordi che con la loro dolcezza trafiggono il cuore? Perchè guardare indietro a qualcosa che si è ormai perduto? Forse perchè i ricordi sopravvivono comunque e per quanti sforzi si facciano, mai nulla è completamente dimenticato. O forse perchè quel che si è, è il frutto di ciò che si è stati e magari per capire come si è sviluppato l’arbusto, si sente la necessità di partire dall’analizzarne la radice. O forse ancora perchè la memoria così come il ricordare, offrono quella dimensione surreale, da sogno. Quel cantuccio solitario e intimo, nel quale è dolce deliziarsi in età avanzata.
Ed è dunque attraverso la memoria che Giovacchino Marimpietri apprende il suo viaggio, un peregrinare attraverso le diverse fasi della vita, lungo la sua fanciullezza, passando per i primi anni dell’adolescenza, fino al racconto della vissuta giovinezza. Tappe di una vita costellata da momenti lieti e drammatici, da dolci sofferenze…
La struttura del racconto
“Sogno d’amore” è un documento autobiografico. L’autore ha realmente vissuto le vicende che racconta e garantisce così, alla narrazione, il suo carattere veritiero, com’è tipico del genere letterario del memoriale.
Il nucleo tematico ruota attorno al lungo e complesso fenomeno del divenire e dell’evoluzione personale, mentale e psichica del protagonista. Una trasformazione che si concretizza attraverso fasi distinte e che viene esplicitata e riflessa, nel testo, dalle vicissitudini amorose e dal ruolo che il protagonista assume in primis all’interno del suo gruppo primario (la famiglia, il gruppo amicale) durante l’adolescenza e, in un secondo tempo, da adulto, in relazione sia ai rinnovati e riveduti sentimenti amorosi, che alla società.
Il racconto si snoda dunque soprattutto su due filoni tematici che rappresentano gli spunti attraverso i quali viene presentata l’evoluzione del personaggio principale. Ne deriva, così, un nucleo base costituito dall’esperienza amorosa, vissuta in triplice prospettiva a seconda dell’età e dei percorsi psicologici del protagonista (l’amore e la passione cambiano volto col mutare delle esigenze e del suo evolversi psicologico); ed un corollario di eventi che si sviluppano attorno alla tema delle relazioni amicali e della famiglia, dal quale dipenderanno i percorsi e i luoghi attraverso cui si snoderà l’azione.
Per quanto attiene strettamente alla struttura della composizione, all’interno del testo, cosiccome impone il genere letterario, sono intercalati una serie di commenti riguardo lo svolgersi dei fatti. Commenti e riletture “mediate”, non più dalla sola memoria, ma soprattutto dall’esperienza personale successiva del protagonista.
Lo scrittore, infatti, rilegge ed interpreta fatti, pulsioni e sentimenti che ha provato e vissuto almeno cinquant’anni prima della stesura del racconto e sulla base dell’attuale suo sentire, ne descrive i contenuti. Malgrado la lucidità della memoria, col trascorrere del tempo, dei decenni, l’autore avrà pensato e ripensato al suo passato e lo avrà elaborato diversamente negli anni.
Anche la conclusione del libro, si presenta sotto forma di commento, come dettato dal genere letterario del memoriale. A chiudere il sipario sulle diverse fasi della giovinezza del protagonista, una riflessione profonda sullo stato attuale dello scrittore.
Un congedo finale, dato da quel senso di abbandono che non è però rassegnato, nonostante la pessima salute e la solitudine. La volontà di osservare, di riflettere ascoltando il mondo che continuerà ad evolversi. Come se a qualcosa che si ferma, corrisponda comunque qualcosa che continua ad andare avanti e a pulsare del suo incalzante ed incessante ritmo.
L’amore come evoluzione personale
Nel memoriale di Giovacchino Marimpietri l’evoluzione del personaggio principale, è trasposta nella metamorfosi che subisce il suo concetto di amore. Filo narrativo di gran parte del racconto, l’amore, in tutte le sue sfaccettature, viene interpretato in triplice prospettiva. Nella fase della fanciullezza è pulsione sconosciuta, universo che affascina in quanto nuovo, che attrae e brandisce il corpo come una furia devastatrice.
Il sesso è l’oggetto di una curiosità mai paga, che rende dolcemente schiavi. D’altronde altro non potrebbe rappresentare per un fanciullo dall’atteggiamento sbarazzino e dai pensieri peccaminosi, che vive tutto come una scoperta e che prova, nella sua età più tenera, i primi istinti, le prime pulsioni sessuali con l’altro sesso.
Appena adolescente, la scoperta del sesso e dell’irrefrenabile pulsione sessuale rendono il protagonista preda e succube di una meravigliosa esaltazione della carne.
Baci famelici ed ingordigia, in un mondo nuovo ed estasiante. Così è il rapporto con Maria, sua prima vera amante, più grande di lui, che gli fa esplorare l’universo degli istinti, appena sfiorato con le amiche d’infanzia. Soggiogato dall’amore e travolto da amplessi paradisiaci, si rifugia in un cantuccio con lei, lontano da qualsiasi evento esterno che possa turbare l’impeto della loro passione. Lo stesso accade anche con Carmelina e Diana e con le innumerevoli amanti con le quali intrattiene rapporti sessuali impetuosi ed elettrizzanti. L’amore è lontano dalle sue prerogative, lo si avverte come una stretta vincolante alla quale non è ancora pronto. Non è pronto a prendersi delle responsabilità.
L’incontro casuale con Iolanda sembra invece segnare un addio definitivo agli anni della prima giovinezza. Il protagonista entra a far parte dell’età ch’egli stesso definisce virile. Quell’età in cui l’amore sembra difficile da conquistare. La propensione verso di lei è sempre mediata da quel desiderio dell’unione sessuale da cui il protagonista non riesce ad ergersi, con una differenza però: l’amore viene visto nella sua dimensione sacrale. Un po’ com’era stato con Maria, sua “iniziatrice”.
Ben presto, però, il protagonista vive una fase di transizione, passando dall’eterna illusione tipica dell’adolescenza, alla consapevolezza di ciò che ha vissuto quasi incosciamente, fino a quel momento. Dall’amore travolgente dell’amplesso sessuale, però, si ha l’impressione che non si passerà mai al sentimento vero e proprio. Per cause esterne o interne alla psicologia del protagonista, l’amore, non viene mai concretizzato completamente, come si evince anche dal sottotitolo del memoriale che fa riferimento ad un concetto d’amore come eterna illusione capace di estasiare e tormentare.
il contesto
Il racconto tratteggia un quadro suggestivo anche se non del tutto esaustivo (è descritta sommariamente, attraverso gli eventi), della società degli anni ’20 dello scorso secolo fino al secondo dopoguerra, contestualizzando i vari eventi personali in relazione anche al periodo storico. Una evoluzione personale che segue in pratica, le linee dell’evoluzione storica: in base alle necessità sia personali che del tempo in cui vive, il protagonista è costretto ad un continuo peregrinare, fin da quando è piccino.
Nelle pagine del memoriale è descritta infatti l’emigrazione dalla tanta amata Calabria verso Sondrio, segno del benessere e dello sviluppo del Settentrione. Un fenomeno, quello dell’emigrazione, assai diffuso tra i meridionali nel periodo a cavallo tra le due guerre mondiali.
Qui, la differenza del paesaggio tra nord e sud è vista come una cosa nuova, emozionante, data l’età e non è vissuta come trauma dai più piccoli, ma ne influenza di certo il nuovo stile di vita.
Si parte in treno, con le borse di panno contenenti le frittate e i panini col formaggio alla volta di un casermone ( i palazzi della città ), di periferia, un quartiere popoloso, accerchiato da fabbriche di salumi maleodoranti.
All’interno di questo contesto storico, si cala una raffigurazione della società del tempo, dal punto di vista del costume (si tratta di una società perbenista e bigotta) e da quello religioso (critica del prete che non si dimostra solidale nei confronti di tutti i fedeli e che non segue i principi basilari della fede cristiana). Ma non solo. Vengono ricordati i mestieri più diffusi nell’epoca, adesso ormai in completo disuso: lo stagnino, il fabbro, il falegname.
L’ultima parte del libro, in cui il narratore descrive il periodo del suo arruolamento militare, è fortemente permeata da uno spirito vitalistico. Mentre lo scrittore racconta ampiamente e con particolare enfasi suggestiva le azioni militari prima e quelle dei partigiani dopo, allo stesso tempo, il protagonista sembra non essere completamente calato nelle vicende che vive. Lui si rintana nel suo nido d’amore. Quasi, insieme alla sua amante, riesce a non sentire i rumori assordanti e terribili della guerra. Si isola. Come se fosse disinteressato da ciò che accade all’esterno. Al contesto storico di riferimento.
La famiglia
La famiglia allargata. Padre, madre, figli e zia. Quella tipologia familiare tipica del novecento i cui membri collaborano, attorno alla figura di un padre, l’unico a provvedere al sostentamento del nucleo, per una gestione comune della famiglia. Sintomatica a tal proposito, è la figura della zia Ninetta che, con bonario spirito di collaborazione, manda avanti la casa, assieme alla sorella. Ninetta è un saldo punto di riferimento in famiglia, soprattutto per il protagonista della storia, da lei coccolato e viziato. Che sia un porto sicuro, lo si intuisce quando confeziona i vestiti per i nipoti, nei momenti sereni della vita familiare, cosi come nei passaggi del racconto più tragicamente rilevanti, come l’assistenza alla sorella affetta da setticemia.
D’altronde la madre, seppur presentata come una donna che cresce i suoi quattro figli con spirito di dedizione e tanti sacrifici di cui solo una madre sa comprendere il valore ultimo per supportarne le conseguenze, non può badare da sola al completo svolgimento della vita familiare. Tra l’altro con un marito che viene descritto poco attento, talvolta per motivi lavorativi, in altre occasioni, per divertimento (un esempio ne sono le bevute con gli amici). Nel racconto, vi è una contrapposizione padre – madre che però non cresce mai tanto da poter rappresentare un limite di rottura: non ci sono episodi di scontro particolari, anzi. Quando il padre è costretto a partire per lavoro alla volta di Sondrio che decide una rottura temporanea del nucleo familiare, mantiene comunque un rapporto epistolare con la famiglia; e non solo. Alcune parti del racconto evidenziano un certo senso di coesione interna del nucleo familiare, come nei momenti in cui si sta tutti stretti attorno al camino scoppiettante ad ascoltare la passione comune della musica classica, per radio.
Un altro aspetto rilevante all’interno di Sogno d’amore, è l’evoluzione del ruolo che la famiglia assume per il protagonista.
Mentre da fanciullo, erano il sesso e il nido amoroso, a costituire un rifugio dalla famiglia, con l’evoluzione psicologica e biologica del protagonista, si ha una trasposizione.
E’ la famiglia a rappresentare, soprattutto durante il periodo della guerra, un rifugio sicuro, in cui l’affetto dei cari predomina su tutto il resto.
Un cantuccio in cui non manca mai l’amore ed il calore che da certezza e rasserena nei momenti critici della propria esistenza.
Note stilistiche e conclusioni
La compattezza e la continuità del racconto offre al lettore l’impressione che, quel che dovrebbe avere un carattere frammentario, com’è tipico della struttura formale della memorialistica e della prosa italiana della prima metà del Novecento, si trasformi e appaia, invece, talvolta, nella sua architettura, quasi un romanzo: un susseguirsi di eventi inscindibili, legati per ovvietà, tra loro, da un unico filo conduttore.
Il rapporto fra l’io narrante e l’io personaggio, che costituisce uno dei punti nevralgici della memorialistica novecentesca, è rappresentato nel testo, in una particolare strutturazione.
Nel Sogno d’amore di Giovacchino Marimpietri, infatti, il distacco tra narratore interno ed esterno al testo ne connota anche quello tra presente e passato, tra il tempo dei fatti vissuti ed il tempo del racconto. Ed il tutto, si sussegue meticolosamente all’interno di una stessa cornice, di un dialogo continuo fra il rimembrare e il tempo presente, che crea una congiunzione temporale anziché una frattura.
Lo scritto rappresenta, anche per questo ordine di motivi, una compattezza assolutamente lineare sul piano del contenuto. Anche dal punto di vista stilistico, i periodi brevi, la scelta meticolosa dell’aggettivazione, l’uso puntuale di una rapida punteggiatura, che enfatizza precisi e importanti passaggi, fanno del racconto di una fase della vita, una storia che potrebbe benissimo svolgersi anche nell’arco temporale di una sola giornata. E’ questo carattere, che rende il testo scorrevole e ben coeso al suo interno e ne facilita la lettura.
Una peculiarità rara di certuni scritti, che, per la loro naturale, innata semplicità costituiscono racconti di scorci di vita “da leggere tutti d’un fiato”.
Ma anche, e, soprattutto … perle di memoria da custodire gelosamente.
Erika Atzori
osservare il pulsare del mondo come in un sogno che continua
GIOVACCHINO MARIMPIETRI
SOGNO D’AMORE
TORMENTO ED ESTASI
DI UNA ETERNA ILLUSIONE
EDITRICE TOTEM
Analisi critica di
Fabio Cristiano
osservare il pulsare del mondo
come in un sogno che continua
Il manoscritto di Giovacchino Marimpietri si colloca a chiare linee nella narrativa auto-biografica riguardante il secolo scorso. Nel suo libro gli accadimenti si dispiegano agli occhi del lettore con armoniosa dialettica, nel preciso intento di celebrare in maniera semplice ma efficace, i ricordi di una vita vissuta all’insegna dei sentimenti ed alla scoperta del mondo. Il bisogno di raccontare e di condividere le sue esperienze – esposte con una prosa gioiosa ed appassionata – si concretizza in uno spaccato degli usi e dei costumi del primo cinquantennio del secolo scorso.
Il testo, come ogni autobiografia necessita, inizia dal racconto dell’infanzia, vissuta in seno alla famiglia, e sulle ali di una marcata curiosità giovanile, che lo sorregge nella scoperta di quel mondo di sensazioni e di sentimenti che man mano si dispiega davanti a lui. Questo periodo si svolge a Cosenza, e la moltitudine di particolari, con i quali Marimpietri colora le descrizioni dei luoghi e dei fatti della sua infanzia – una caratteristica che peraltro si pone come tratto distintivo di tutto il libro – ci consente di immergerci e di alienarci nella solarità e nella tranquillità della vita dell’ Italia meridionale dell’inizio del Novecento.
Egli descrive con dovizia di particolari tutti i giochi e le avventure affrontate in quel periodo, rendendo con grande profondità di parole tutte le sensazioni che le accompagnano, senza inoltre tralasciare nulla degli ambienti e dei sentimenti che ne fanno da sfondo e da motore. In poche righe, il racconto assume una forza narrativa tale da prenderci virtualmente per mano, e trascinarci, conquistati da una candida curiosità, ad immergerci nella lettura. In questa fase iniziale, le descrizioni del suo nucleo familiare, delle gerarchie che ne regolano i rapporti, e dei legami affettivi che ne reggono la struttura, si compongono in una sintesi prospettica che riproduce il quadro della famiglia medio-borghese dell’epoca: un padre, impiegato statale, con il quale ha un rapporto di amore e di rispetto, e che a parte alcuni trascurabili difetti umani, si dimostra un capo-famiglia presente, amorevole e rigido nell’impar-tire la giusta educazione ai figli; una madre affettuosa, che insieme alla sorella – una donna a dir poco stoica nel dare una mano alla famiglia – rappresentano il cuore del focolare domestico, e tre sorelle che sono l’anima della casa, e lo relegano in una cornice di affetti tutta al femminile, che giustifica forse, in un certo senso, la sua innata predisposizione all’amore ed alla ricerca di una donna (che non viva in casa con lui).
In effetti, ben presto, dal suo racconto emerge una naturale e precoce passione sentimentale che lo sosterrà e lo accompagnerà nel suo cammino; anche ora, in tarda età, quando ripercorre sulla carta la sua vita, si ha la sensazione che sia questo sentimento, così forte dentro di lui, a dettare le parole, a scrivere di se stesso: è l’amore che celebra l’amore, incontra se stesso anni prima, in un susseguirsi di eventi, in una celebrazione felice e malinconica allo stesso tempo; si riaccende per un attimo, diventa fiamma ardente, alimenta le parole per poi tornare ad assopirsi restando anima dolce e nostalgica dei ricordi.
Lo annuncia il titolo, e lo confermano le parole racchiuse nelle pagine, di come questo racconto autobiografico sia un inno all’amore, a questo sentimento che troneggia nella vita dell’autore manifestandosi sotto varie forme, ma senza alterare mai la composizione di base. E’ l’amore che gli muove i passi fin dal principio, che lo guida nei giochi e nelle vicissitudini, lo circuisce iniziandolo alle passioni, irrompe nella sua vita come un fiume in piena, raggiungendolo e catturandolo all’improvviso, in un incontro casuale, sotto le sembianze di una giovane donna, che ardente di passione, gli apre le porte di questo idilliaco ed estatico sentimento, iniziandolo allo splendore del suo altare.
Ella lo accoglie a sé senza dargli il tempo di capire, lo travolge in un crescendo di curiosità e desiderio, lasciando al seguito le riflessioni e le conseguenze; lo lancia molto presto verso quel non del tutto comprensibile cammino che è la vita di un uomo. La dovizia di particolari di questo suo primo incontro amoroso con una donna, che cerca di soddisfare con una bramosia atroce e quasi perversa il proprio desiderio, ci introduce in pompa magna in quel “sogno ed estasi d’amore” che costituisce l’anima del racconto, che troneggerà sui momenti più gioiosi ed innocenti dell’infanzia ed adolescenza, e su quelli più gravi e tristi della giovinezza, rappresentando sempre di più una scelta di vita istintivamente cercata, una propensione innata ad un sentimento nobile e tentatore, che guiderà le sue gesta da dietro le quinte del palcoscenico della sua vita, attendendolo alla fine dello spettacolo per fare insieme il punto della situazione in un resoconto appassionato.
Quello che emerge più fortemente dalle sue parole è proprio questo incontenibile bisogno di consacrare all’amore ogni scelta ed inclinazione della vita, un incontenibile ed incontentabile fierezza di questo sentimento, che sovrasta la sua vita come un fiume in piena, e come un fiume in piena a volte rompe gli argini, trascinando con sé ogni cosa nei dintorni, facendo strada alle parole, trasportando sul suo corso le persone come fossero rami d’albero, lasciandoli andare poi alla loro meta. Marimpietri, riempie di passione il proprio racconto, alternando lo stupore e l’entusiasmo delle prime esperienze, alla consapevolezza e la ricercatezza di quelle successive, per le quali una maturità ed un controllo maggiore dei sentimenti lo hanno ormai conquistato, senza mai saziarlo del tutto; e si fa cura di rendere le sue descrizioni appassionanti e coinvolgenti.
Dopo l’infanzia cosentina, un trasferimento nel Nord Italia, a Sondrio, segna la fine di tale periodo, dove tutto è stato gioco e scoperta inconsapevole delle cose, e l’inizio di un periodo più ricco di avventure ed esperienze, che oltre a delimitare nuova tappa della sua vita, gli dà l’occasione per rendere l’immagine di un altro pezzo di Italia. Le descrizioni dei luoghi sono ancora una volta minuziose e romantiche, intrise del sapore dei ricordi di un periodo felice, quello dell’adolescenza, nel quale ognuno, in maniera più lenta o più veloce, acquista maggiore coscienza delle cose che lo circondano, e delle proprie inclinazioni.
Il racconto si svolge ancora una volta attraverso le descrizioni di luoghi suggestivi, questa volta appartenenti alla provincia piemontese, e Marimpietri riporta, con cognizione di causa (considerato il suo interesse per la materia), le architetture, costruite o naturali, dei luoghi. Una particolare inclinazione alla conoscenza dei mestieri più disparati, che si svolgono nei pressi della sua abitazione, e di cui attua una precisa ed attenta descrizione, ci restituisce una testimonianza storica molto interessante del lavoro artigianale svolto nelle botteghe dell’epoca; si tratta di episodi ricchi e suggestivi, che hanno il sapore della quotidia-nità e la freschezza della scoperta, grazie ai quali abbiamo modo di conoscere tante piccole curiosità.
Gli eventi si susseguono ancora una volta rapidi, ma sanno essere coinvolgenti e catturano l’interesse del lettore. Non mancano, ad intervallare il racconto della quotidianità, esperienze sentimentali, che appaiono vissute con perspicacia, maggior spigliatezza ed un pizzico di divertimento in più. In questo caso esse vengono affrontate con più volontà e partecipazione, a testimonianza di quel passo in avanti che l’amore ha fatto nella sua vita, macinando strada ed acquistando coscienza, pur rimanendo, sotto certi altri aspetti, una aspirazione inconsapevole. In lui si fa strada adesso quella carica vitale, alimentata dai sentimenti, di cui abbiamo già parlato, e che a momenti si mostra in un’altalena di sensazioni ed emozioni sempre diverse e tutte da inseguire e scoprire, e che rimangono, volente o nolente, indissolubilmente legate, anche se non sempre con la stessa valenza, all’universo femminile.
Egli è attaccato alla sua famiglia, è rispettoso verso i genitori, che non manca di ricordare con aneddoti e particolarità, è sempre stato e continua ad essere premuroso verso le sorelle, alle quali se può non manca di far sentire la propria presenza, ma ora sta incominciando ad assaporare il mondo; egli capisce che la sua vita, sebbene l’amore che lo lega alla famiglia rimane indissolubile, si concretizzerà esclusiva-mente seguendo i propri istinti ed i propri sentimenti, consacrandosi incondizionatamente a quella forza, a quella passione che sempre più vigorosamente si fa strada prendendo il sopravvento. Il terzo e conclusivo periodo dell’autobiografia è combattuto e pieno di incertezze, sia per le contraddizioni ed i sentimenti spesso contrastanti, che propria-mente si vivono in tale periodo, sia per la coincidenza di tale momento della vita dell’autore, con un particolare intervallo della storia umana, la Seconda Guerra Mondiale, un avvenimento triste e drammatico, che tocca la coscienza e la sensibilità di Marimpietri, senza però affievolire la carica di sentimenti che lo pervade, anzi, a certi tratti il suo bisogno di amore, la necessità di sconfinare nell’universo femminile, si rafforzano in questo scenario di morte e disperazione, in una strenua difesa alla desolazione del momento.
Marimpietri è adesso una persona matura, la carriera militare, prima come sottoufficiale e poi come ufficiale, lo hanno formato, e come egli stesso ci racconta gli ha offerto una impedibile occasione di crescita. Egli segue gli eventi che si succedono in quegli anni con occhio critico, formando una propria coscienza personale riguardo al corso degli eventi. La lontananza dalla famiglia ed i continui cambiamenti di destinazione militare, prima, e la prigionia nei campi di concentramento poi, rappresentano un’occasione di esperienze senza eguali dal punto di vista morale, e lui che ha una sensibilità acuta ed intensa, non può fare a meno di assorbire nell’animo tali accadimenti, attingendo dalla propria passione interiore i modi per affrontarle tutte.
La parentesi sfortunata della Guerra, non gli impedisce di amare con continuità e trasporto numerose donne, anzi, gli offre la possibilità di conoscere nuovi luoghi che stimolano la sua fantasia e le sue passioni, ma soprattutto tale evento si dispiega in un quadro dai contorni romantici e contrastanti; mentre, da un lato si snoda, con grande abilità dialettica e prosa colorita, il racconto appassionato dei suoi incontri amorosi di quegli anni, parole che sprigionano un avvolgente carica di sentimenti, e ci regalano un insieme di emozioni sensuali per ciò che accade nelle camere da letto, dall’altro lato, il racconto delle terribili vicissitudini che si svolgono all’esterno delle mura delle case, ci fanno riflettere, riportandoci alla mente certe situazioni che potremmo aver dimenticato, in una ulteriore e più coscienziosa testimonianza storica, nell’esprimere la quale Marimpietri non si risparmia aspre critiche e giudizi personali a proposito di alcuni degli eventi occorsi in quel periodo.
In particolar modo egli esprime il proprio giudizio ostile nei confronti dell’uso smodato del potere e dell’arbitrarietà della violenza da parte di alcuni gruppi o di singoli che, cedendo agli istinti più bassi, rinnegano la propria natura amorevole creata ad immagine e somiglianza di Dio – Marimpietri è cattolico – ovvero di quell’amore di cui lui è grande sostenitore, dimenticando quindi che la propria natura dovrebbe essere ben lontana da certi giochi di potere, da certe azioni deplorevoli e certe comportamenti errati, che spesso prendono il sopravvento, creando delle situazioni spiacevoli e degradanti.
A questo punto, se volessimo individuare tre sfumature contestuali caratterizzanti, all’interno dell’autobiografia di Marimpietri, potremmo dire che, dopo la celebrazione dell’amore e della conoscenza dell’universo femminile in genere, dopo la volontà di lasciare una personale testimonianza storica dell’Italia del primo novecento, attraverso le attente descrizioni dei luoghi e degli accadimenti, il bisogno di esternare una critica costruttiva alla moralità di certe situazioni, o alla struttura ed ai compor-tamenti di certe persone, può rappresentare la terza sfumatura di questo racconto.
In definitiva potremmo suddividere il libro in due grandi momenti della vita dell’autore, quello dell’infanzia e della pre-adolescenza, periodo di estrema felicità ed innocenza, dove la visione del mondo e dell’uomo assumono contorni incantati, dolci, dovuti alla visione infantile dei suoi occhi, dove la curiosità è accesa ed istintiva, e tutto appare più buono e vivibile; e quello della adolescenza, periodo di crescita interiore, di esperienze gravi, e di sensazioni profonde e tormentate, in cui domina la passione per l’universo delle donne, presenze sensuali, figure incarnante all’amore, muse ispiratrici, croce e delizia della vita, che si susseguono repentine altalenando in lui le emozioni ed alimentando riflessioni sulla natura umana mutevole e contraddittoria.
Escono così le incertezze nei confronti del mondo, troppo spesso dominato dalle incom-prensioni degli uomini, contrasti che attana-gliano il suo animo gentile, intaccando la voglia di assaporare la vita in ogni suo aspetto, per gustarla e comprenderla con trasporto, ed ecco quindi che l’unico rimedio è rappresentato dall’amore. Più volte nelle sue parole egli esprime un desiderio di sereno e consapevole abbandono agli accadimenti della sua vita, come in un desiderio di esaltazione di quella forza incomprensibile ed imprescindibile che governa l’esistenza di un uomo, di quel sentimento unico ed irrinunciabile che, come un mare, infonde la sua impronta con più calma o agitazione a seconda degli eventi.
Dalle ultime pagine del libro, quelle nelle quali si ricongiunge alla sua vita attuale, traspare l’essenza di una persona che ha vissuto la sua vita intensamente, amando senza sosta sorretto da una innata e vivace curiosità alle esperienze della vita, un modo di essere che a tutt’oggi certamente lo rende soddisfatto, sebbene appaia a volte nostalgico quando ripensa ai trascorsi della sua vita, quando i ricordi delle esperienze passate lo assalgono all’improvviso per richia-margli alla memoria quello che ha vissuto, alimentati ancora una volta dall’amore, perché l’amore non vuole che egli si dimentichi di “lui”, e se anche questo deve tradursi in una romantica malinconia non importa, perché l’amore sa che Marimpietri troverà la giusta ragione anche a questo, per poter ritornare con chiarezza ad “osservare il pulsare del mondo” come in un sogno che continua.
Fabio Cristiano
una fanciullezza spensierata e di stampo antico
GIOVACCHINO MARIMPIETRI
SOGNO D’AMORE
TORMENTO ED ESTASI
DI UNA ETERNA ILLUSIONE
EDITRICE TOTEM
Analisi critica di
Adele Lauria
la memoria custodisce
una fanciullezza spensierata
e di stampo antico
In Sogno, tormento ed estasi di una eterna illusione, un cuore è messo a nudo, vibra e pulsa di quelle emozioni, ancora così vive e che la coscienza cerca di celare dall’oblio e difendere dal pregiudizio. L’autore si guarda intorno, osserva il presente e ripensa al passato con nostalgia. Egli si racconta, per il semplice piacere di affogare nei ricordi e forse per sfuggire alla malinconia, che lo assale. L’io narrante è soggetto e oggetto di un racconto che recupera certi aspetti di una vita: quella di Giovacchino Marimpietri.
Gli anni da ricordare sono tanti, ma neanche uno stato cagionevole di salute può arrestare quella forza vitale che spinge a lasciare memoria di sé e quel desiderio di riflettere sul senso di una esistenza fatta di tante gioie e altrettante sofferenze. I ricordi si affollano e si rincorrono in un ritmo caotico e incessante, in una sequenza d’immagini un po’ evanescenti. Allora, mentre il saggio compie lo sforzo di ricordare, l’architetto ricostruisce i luoghi di un’esistenza vissuta tra Cosenza, Sondrio, Roma e Firenze e disegna i volti delle donne che ha amato, degli amici e dei personaggi che ha incontrato.
La memoria custodisce gelosamente gli anni di una fanciullezza spensierata e di stampo antico, quando egli si diverte a giocare a pallone, a trovare la pallina di vetro che fa da chiusura al collo delle bottiglie, a collezionare le figurine dei calciatori, a costruire una fionda e a lanciare la trottola di legno, giocattolo tanto desiderato dai bambini di un tempo, quelli cresciuti all’ombra del progresso e alla luce della fantasia.
Aveva solo nove anni quando scopre l’amore adulto, vissuto senza inibizioni, con la coscienza di un fanciullo cresciuto troppo in fretta all’altare dell’amore. Maria, donna bella come una madonna, fragile e delicata, un’autentica femmina dai grandi occhi scuri, di un marrone intenso, dalle ciglia folte e lunghe, lo conduce verso lidi di pace e di serenità. Nonostante la sua apparizione sia stata breve, ella rappresenta l’essenza di un amore eterno che ha la forza di muovere l’universo e un piacere infinito dello spirito e della carne.
Il lettore si lascia travolgere dalla storia di questo amore, gioisce, s’illude e condivide la sua sofferenza, quando la donna lo abbandona quale gingillo, defraudandolo del suo sentimento e tradendo la sua fiducia. La fine della storia con Maria segna l’inizio di una nuova fase della sua esistenza, quella in cui è costretto a lasciare con la sua famiglia l’amata Cosenza, per raggiungere Sondrio e ricongiungersi al padre, venuto lì per lavorare. Egli si trova in un nuovo alloggio, che nel cortile ospita una fabbrica di salumi. Il fanciullo deve abituarsi al cattivo odore, al rumore delle macchine e al disagio di un ambiente poco familiare, già provato dalla delusione di non aver trovato al suo arrivo bicicletta che gli era stata promessa.
L’architetto ricostruisce l’immagine del quartiere in cui vive, circondato da edifici di stile rinascimentale, ornati con graffiti sulle facciate eseguiti con la tecnica del chiaroscuro. Egli conduce il lettore in una sorta di visita guidata alla città, caratterizzata da botteghe anguste ma fervide di vita, come quella dello stagnino o quella del fabbro, dove egli trova gaudio nel veder prendere forma, da un pezzo di legno qualsiasi, un oggetto.
Fuori dalle botteghe, se non gioca a pallone, il fanciullo fa delle escursioni con i suoi nuovi compagni, come quella alla cascata del Mallero allo scopo di cogliere ciclamini e contemplare l’infinita bellezza del creato. Altrettanta gioia egli prova alla domenica mattina, quando convince il campanaro di lasciargli suonare le campane. L’autore ricorre all’immagine di Don Leone, prete dall’aspetto maestoso, uomo fra gli uomini, amato dai ragazzi per la sua disponibilità a dialogare e ad operare sempre a fin di bene, per esprimere il suo dissenso nei confronti di quella parte del clero personificata dall’arciprete, priva del tempo dell’umiltà, capace di recitare omelie e di sovrastare una folla di fedeli del tutto indifferenti al suo messaggio.
A Sondrio, egli frequenta la quarta e la quinta elementare in una classe mista. La sua nuova insegnante (che sa farsi ubbidire), scopre le sue attitudini per il disegno, analizzando i suoi scarabocchi, vale a dire riproduzioni di un oggetto, di una figura o di un personaggio e riesce a recuperare la fiducia di un allievo che porta le cicatrici di una cattiva educazione scolastica.
Egli nutre una vera passione anche per l’educazione fisica, prediligendo gli esercizi ginnici. Ai tempi del fanciullo Giovacchino, quella disciplina è intesa come metodo educativo nelle scuole, dal momento che il regime fascista si preoccupa dell’inquadramento ideologico della gioventù, attraverso la creazione di una vasta rete di istituzioni, in cui l’istruzione si salda con l’educazione. Viene istituita anche l’Opera Nazionale Balilla, che ha il compito di organizzare una serie di attività ginnico-sportive, parascolastiche, assistenziale e ricreative, oltre a provvedere all’istruzione pre-militare dei maschi.
Egli intraprende così i programmi ginnici delle scuole medie superiori e insegna gli esercizi agli allievi di altri istituti. Il fine della sua preparazione è il saggio ginnico che si svolge alla presenza delle autorità scolastiche e cittadine. Tuttavia si dimostra alquanto riluttante ad indossare la divisa balilla, quella da mostrare in certe occasioni: pantaloncini grigio-verde, camicia nera, il fez, un cappellino con le frange laterali, un fazzoletto blu legato al collo e un grosso medaglione con la testa del duce.
Questo atteggiamento cela un’ideologia ben precisa: quella di chi si oppone ad uno stato indiscutibile (in apparenza) di cose, al regime illiberale e autoritario, nel quale le competenze dello Stato sono ampie, il popolo è inquadrato e indottrinato. Comunque, ne condivide la sana disciplina del corpo e dello spirito e ideali quali l’amore per la patria e l’amore per la famiglia.
Nel momento in cui affiorano i ricordi di quegli anni, l’io narrante narrato si eclissa dalla scena per ricomparire nelle veste del magister vitae. Come tale, dopo aver denunciato i tentativi dell’Italia post-fascista di conquistare la libertà democratica, impartisce una lectio intorno al significato della libertà: migliorare, mai distruggere, le condizioni di vita altrui e rispettare i valori umani.
Dietro ai banchi di scuola, egli conobbe Lucia, ragazzina di delicata bellezza popolana e dea votata al sacrificio dell’amore. L’infatuazione muta in una vera passione o meglio delirante piacere dei sensi, ancora possesso di un corpo perfetto. Quella forza trainante lo spinge verso altri lidi, verso altre sponde dell’eden, per poi abbandonarlo a riva. Forse per puro egoismo maschile ed eccessiva debolezza, egli non riesce a contrapporvi neanche quel sentimento così vicino all’amore che matura per Tatiana, una ragazzina con il viso da bambola, piccolo fiore bianco.
L’autore regala al lettore pagine d’intensa commozione, come quelle dedicate al ricordo di Manfredo, il fratellino morto. Durante la malattia, lo immagina nel nido, intento a cullarlo per alleviare la sua pena e vegliare su di lui giorno e notte, come la rondine al tetto con i suoi rondinini.
L’ombra gelida della morte avvolge nuovamente la sua famiglia, quando sua madre in dolce attesa, si ammala di setticemia. Un altro angelo vola in cielo. Ancora lacrime e dolore, poi angoscia e disperazione, per le condizioni disperate di salute dell’unica donna importante nella vita di un bambino. Proprio quando anche l’ultima speranza sembra ormai perduta, quando ormai sopraggiunge la rassegnazione di fronte alla scomparsa di un altro figlio e alla sofferenza inflitta dalla malattia, accade il miracolo che infonde vita ad un corpo inerme. Il male viene debellato, ma prima che si possa parlare di una guarigione completa occorre del tempo. Giovacchino e i suoi fratelli sono costretti ad un isolamento forzato presso un istituto, dove vengono affidati a suor Caterina, creatura irreale, angelo piovuto dal cielo che li protegge sotto le sue ali.
Decisivo, per la sua formazione, è l’incontro con quell’insegnante di disegno da cui impara ad usare le matite colorate e che gli svela il segreto degli impasti e la tecnica dei chiaroscuri, avviando la sua produzione giovanile. Intorno allo stesso periodo si colloca l’esperienza di capocenturia vissuta a Roma, nella pineta di Macchia Madama, che lo tempra nello spirito e nel corpo. Egli rimembra la sfilata ai Fori Imperiali , quando marcia in pantaloncini neri e a torso nudo alla presenza del duce e il discorso memorabile dello stesso che annuncia al mondo intero la vittoria delle truppe italiane in Africa orientale e la proclamazione dell’Impero per la conquista dell’Abissinia.
Gli eventi storici non sono presentati al lettore nella dimensione della cronaca o tanto meno annalistica. Prevale la riflessione del condottiero, non dello scrittore, che ha fatto la storia del suo popolo e possiede quella lucidità e quell’oggettività indispensabili per giudicare i fatti.
Le fantasie meravigliose dell’adolescenza, età che racchiude in sé desideri inconfessabili, piccole ansie, turbamenti e spensieratezza, sembrano già il ricordo di un tempo lontano nel tempo, quando scoppia la seconda guerra mondiale.
Ora, il lettore segue passo dopo passo la scrittore. Lo vede arruolarsi nell’arma aeronautica e cercare rifugio nelle grotte per sfuggire ai bombardamenti. Lo scruta dietro una scrivania del comando di Catania, intento a completare i disegni esecutivi dei nuovi rifugi antiaerei. È alle sue spalle mentre lavora con piccone e pala per colmare le buche della pista di lancio. Soffre con lui quando rischia di perdere l’udito, per via di una grossa bomba che gli esplode così da vicino da occultare il suo corpo sotto i detriti. Lo ascolta invocare e ringraziare la divina provvidenza, a cui spesso si rivolge e chiede il perdono dei propri peccati, per lo scampato pericolo. Trae degli insegnamenti dalle lectiones intorno all’ideologia rivoluzionaria, che in nome della libertà distrugge tutto ciò che è fascista, colpisce e consuma delitti crudeli. Punta, con lui, il dito contro la subdola figura del generale mediocre Pietro Badoglio, fautore di crimini abominevoli. Si commuove assieme a lui nel ricordo di ciò che accade un tragico mattino, nel settembre del 1944, in piazza Santa Maria Novella e nelle strade adiacenti della città di Firenze: giovani, vecchi e donne sofferenti per la fame, vengono fucilati senza pietà alcuna, mentre un gruppo di poveretti venivano trascinati a spintoni e con il calcio dei fucili.
Lo ritrova in quel gruppo di innocenti e sente l’eco di quell’urlo bestiale che egli emise per chiamare in aiuto il comandante amico. Lo vede salire prima su un camion scoperto, vigilato a soldati americani, poi imbarcarsi su una nave e giungere a Carinaro, in un vasto campo di concentramento per prigionieri di guerra. Quando il campo viene smantellato, “lo raggiunge” alla stazione dove (con gli altri prigionieri) è caricato come merce in un vagone, sigillato con il piombo. Lettore e scrittore si commuovono dinnanzi all’immagine di quella carrozza che libera miseri mortali, completamente nudi e sporchi. Tuttavia la fine della prigionia è ancora un’illusione. Ecco allora procedere, al suono di insulti volgari e di frustrate, i vinti che raggiungono altri camion e partono verso un’altra destinazione: un nuovo campo di concentramento (piazza di Coltano), dove sono “ripuliti” anche delle distinzioni di grado.
Lì, egli veste i panni dell’infermiere e come tale riceve un trattamento speciale: cibo, due coperte e una maggiore libertà. Non riesce a curare certe ferite. Anche se non sgorga più sangue, appaiono così vive e dolorose, sanguinanti a distanza di anni.
L’Amore, in tutte le sue forme, pare essere l’arma più tagliente e l’antidoto più efficace contro la guerra: estasi e sconvolgimento con Maria Rosaria, ragazza bella come una madonna; febbre e consolazione con Maria, l’angelo protettore; passione e sentimento con Iolanda, creatura incantevole, regina del suo cuore.
Adele Lauria
GIOVACCHINO MARIMPIETRI
SOGNO D’AMORE
TORMENTO ED ESTASI
DI UNA ETERNA ILLUSIONE
EDITRICE TOTEM
Analisi critica di
Maurizia La Cascia
la potenza dell’amore
come forza generatrice
di crescita individuale
Un viaggio a ritroso lungo l’evoluzione sessuale di un fanciullo imberbe dal primo ventennio del 1900 all’ultimo conflitto mondiale. Un viaggio che attraversa tutta l’Italia, dalla splendida Cosenza alla fredda e accogliente Sondrio, a Roma, Firenze, Palermo e altre città ancora. Un viaggio che percorre i tempi: dalla crisi del ’29, al ventennio fascista. Un viaggio, infine, che scopre la donna nei suoi molteplici aspetti: la donna-bambina, la donna maestra d’amore, la donna dall’abbraccio materno.
Giovacchino Marimpietri fa compiere alla propria mente un lungo percorso indietro nel tempo; dai primi ricordi dell’amata Cosenza, egli esamina le fasi della propria crescita che avvengono in concomitanza con i cambi di residenza.
Sempre vivi sono in lui il desiderio di conoscenza per mondi ignoti e la curiosità che lo porta, nel corso della vita, ad assumere i più svariati incarichi professionali. Entrambi questi sentimenti regnano sovrani nell’animo di Giovacchino.
Il suo carattere vivace e versatile non può trovare piena realizzazione nei giochi infantili dei coetanei; essi non soddisfano la sua sete di emozioni, che è invece appagata dall’incontro con l’intima realtà femminile.
Le prime esperienze amorose, vissute furtivamente a causa della tenera età e del contesto culturale della Calabria degli inizi del Novecento, recano i caratteri della fanciullezza.
Il senso di meraviglia, di riscoperta di sensazioni colgono il lettore allorché da subito Marimpietri focalizza la propria attenzione sui primi approcci intimi della propria esistenza. Sensazioni ormai ovvie e scontate per un adulto sono qui descritte dagli occhi dell’ingenuità con una tale purezza tipica dell’infanzia e vissute come un gioco in cui non vi è alcuno spazio per la malizia, ma dov’è il piacere, fisico e mentale, a regnare.
Il primo trasferimento della famiglia, a Sondrio, lo porta a scontrarsi con paesaggi e personaggi differenti da quelli ai quali era abituato. Sullo sfondo delle Alpi si svolgono i suoi giochi da fanciullo, che egli vive con lo spirito goliardico tipico di quella età. L’accoglienza benevola riservata alla sua famiglia dalla comunità di Sondrio e il fatto di trovare subito amici sfatano l’eterno mito italiano di rivalità fra nord e sud. Tutta l’Italia è attraversata da Giovacchino e in tutta Italia egli, col suo animo curioso, sensibile e passionale, trova amici e donne degni di occupare un posto importante nella sua memoria.
Il rapporto con la famiglia non è al centro dell’opera, padre e madre sono le figure centrali di solo due fra i tanti episodi narrati. L’unico momento in cui la madre è protagonista, la sua fase deficitaria dopo il parto, dà lo spunto al protagonista per rendersi conto della caducità della vita umana, per cui ogni esperienza deve essere vissuta appieno.
Sono piuttosto una zia e una sorella, le figure più importanti nel suo vissuto familiare. Zia Ninetta e Lisa sono le uniche donne, cui viene dato ampio respiro nel testo, verso le quali Giovacchino non nutra pulsioni sessuali. Zia e nipote sono vincolati da uno stretto rapporto di complicità; ella è zia e madre allo stesso tempo, amica e dispensatrice di consigli e nella prima parte del testo è lei la figura femminile cui Giovacchino fa riferimento. Col trasferimento a Roma, prevale invece il personaggio della sorella Lisa, non tanto complice, quanto figura di appoggio; sicuramente di impatto inferiore a quello di Zia Ninetta.
Fin da quando Marimpietri rimembra la prima fanciullezza, egli travolge il lettore in un turbinio di passioni e sentimenti, conducendolo attraverso l’esplorazione dell’essenza femminile, esperienza vissuta con sempre più maturità. Egli conosce la sensualità dietro gli sguardi appassionati del primo tenero amore, o lo vive grazie alle mani esperte di chi lo inizia al sesso e vive tutte queste esperienze con l’animo puro, ingenuo ed incosciente di un fanciullo. La sorpresa che gli deriva dalla constatazione di come il suo corpo e la sua mente reagiscano alle nuove pulsioni che attraversa, lo inducono a scavare sempre più nell’universo del contatto umano in ogni sua forma. I suoi rapporti sono dettati dalla passionalità e dalla curiosità piuttosto che dalla tenerezza; il linguaggio stesso che utilizza per descrivere le proprie esperienze deriva dalla tradizione archilochea[1][1], in cui l’amplesso è ritratto come una lotta fra due corpi e due anime. Egli riconosce la potenza dell’amore come forza generatrice di crescita individuale e di scoperta del sé. Le odi all’amore che ricorrono nel testo ne sono un esempio.
Il giovane Giovacchino conosce l’amore in un ambito culturale completamente diverso da quello odierno, dal quale sente un certo distacco. Mano a mano questa dedizione all’amore assume connotati più maturi. Se i primi approcci con l’universo femminile sono occasione di scoperta del proprio corpo, l’evoluzione del personaggio lo porta ad amare con consapevolezza, ferma restando la passione intrinseca al suo animo. Ogni donna è per lui fonte di piacere e di nuova conoscenza; ogni donna, nella sua diversità è per lui una femme fatale, la vista del cui incedere basta a scombussolare i sentimenti del giovane. Novello Casanova egli ama profondamente ognuna delle donne che si presentano sul suo cammino e si strugge al pensiero del loro abbandono, ma le ama di un amore passionale, che possa lasciargli la libertà di amare altre donne. Una sola fra queste infatti avrà l’onore di essere definita l’amore della sua vita.
La seconda parte dell’opera risente del contesto storico in cui si inscrive la narrazione. Così come per l’Italia è un momento difficile quello attraversato nel ventennio fascista e negli anni della guerra, così anche l’interesse di Giovacchino per le donne è molto maturato. Egli è sempre passionale e desideroso di bere dal calice dell’esperienza erotica, ma la sua attenzione non è più rivolta solo ed esclusivamente alla ricerca del sesso, ma piuttosto alla propria realizzazione personale, iniziata con le decisioni riguardanti il suo iter scolastico. La determinazione di cui darà prova a proposito della carriera scolastica e lavorativa, dettata sempre dalla volontà di confrontasi con nuove esperienze, caratterizzerà il protagonista per tutta questa seconda parte del testo.
Trent’anni di storia italiana fanno da sfondo a tutta la vicenda del giovane protagonista. La narrazione prende avvio nel lontano 1927, in una Cosenza lontana, dove gruppi di bambini si divertono accontentandosi semplicemente di una palla o osservando incantati coloro che lavorano. Tipiche sono le immagini di venditori di cocomeri che lavorano abitualmente per strada, così come quelle delle maestre che puniscono gli studenti indisciplinati (e per mancanza di disciplina poteva intendersi anche un solo momento di disattenzione) con tante bacchettate sulle mani da farle sanguinare. E’ un’epoca in cui i pantaloni lunghi sono un diritto esclusivo di chi ha superato una certa soglia d’età e l’abbigliamento d’obbligo per commemorazioni patriottiche o esibizioni ginniche è la divisa da balilla imposta ai bambini dal regime fascista. E’ sostanzialmente un mondo molto più semplice e molto più legato agli affetti di quello in cui ci troviamo oggi, un’epoca in cui basta stare tutti attorno al focolare per trascorrere una bella serata, senza l’immancabile televisione odierna, a parlare o ascoltare brani di musica classica, come quelli di Beethoven ad esempio; e ancora è un mondo in cui i bambini custodiscono una tavoletta di cioccolata come il più prezioso dei tesori o si fanno regalare dai pasticcieri gli avanzi delle paste per portarli a casa in trionfo come doni di chissà quale valore.
E’ una realtà in cui sovente le famiglie si separano per motivi di lavoro. La tematica delle grandi migrazioni da sud a nord, che si verificarono in Italia agli inizi del Novecento è incarnata qui dalla figura del padre, costretto a spostarsi a Sondrio in quanto impiegato statale.
Il primo grande evento storico che fa da sfondo alla vicenda è la crisi di sovrapproduzione del 1929, che colpì l’intera economia occidentale. Sebbene di portata gigantesca, questo avvenimento non colpisce la famiglia che è al centro della narrazione. La condizione economica dei Marimpietri non è certamente lussuosa, ma sicuramente non indigente; gli spuntini a base di panini preparati con formaggio, prosciutto e frittata, le colazioni preparate da Zia Ninetta, rivelano un tenore di vita abbastanza agiato e chi, come le migliaia di emigranti italiani, era costretto ad emigrare con valigie di cartone al seguito non aveva certo bisogno di facchini.
Altre pagine importanti dal punto di vista socio-culturale sono quelle più strettamente legate al fascismo e alla guerra, che culminano con la deportazione del protagonista in un campo di concentramento.
Col trasferimento dell’ormai sergente Marimpietri a Cagliari, presso il Comando Aeronautico della Sardegna è descritta una realtà molto differente dalla precedente; i giochi da fanciullo hanno da tempo lasciato il posto alla quotidianità bellica che l’Italia attraversa da ormai due anni. Le continue fughe verso le grotte sarde, automatica reazione agli assalti aerei e i successivi attacchi presso l’aeroporto-fantasma di Sciacca sono all’ordine del giorno. La stessa categoria degli ufficiali, fra i quali vi è il protagonista non è esente da questi attacchi; l’agitazione e la paura sono sentimenti costanti anche nei loro cuori. Questo stato di cose perdura anche dopo la destituzione di Mussolini, allorché l’Italia è avvolta nel caos. La disperazione colpisce chiunque, amici, fratelli, conoscenti sono colpiti da chi, avendo subito gravi perdite a causa della guerra, è preda della follia.
A rendere la situazione ancor più difficile per gli italiani fu l’atto di armistizio firmato dall’Italia e dagli alleati l’8 settembre 1943 che designava i precedenti alleati, i tedeschi, come nemici. Con questo evento la situazione italiana fu capovolta sulla scacchiera europea, ma fu resa tragica in fatto di politica interna, dal momento che i tedeschi erano comunque presenti in gran parte del territorio italiano ed erano abituati ad esercitare il proprio potere attraverso estorsioni, minacce, violenze. Le minacce di morte dei parenti erano un tipico strumento di cui si avvalevano gli ufficiali tedeschi e da esse non è esente nemmeno Giovacchino, che viene trasferito ancora una volta.
La violenza impera dunque dappertutto, sino a coinvolgere persino coloro che in teoria avrebbero dovuto combatterla: i movimenti partigiani. Se i tedeschi erano stati gli esecutori del massacro delle Fosse Ardeatine, i partigiani di Firenze furono i responsabili di numerosi eccidi di fronte alla loggia di Santa Maria Novella, perpetrati con la stessa folle violenza che divagava fra i soldati regolari. E’ un periodo caratterizzato dal fanatismo tipico della vendetta, un’epoca di delazioni, in cui basta il minimo sospetto per denunciare chiunque alle autorità, un’epoca in cui un profugo, convinto di essere trasportato in un’altra città grazie ai servizi che fanno capo all’americana C.I.A., viene invece deportato in un campo di concentramento.
Questa è la situazione in cui versa l’Italia nel 1945, alla fine di una guerra in cui dunque non solo i soldati tedeschi, gli eterni colpevoli del conflitto bellico e nostri primi alleati, ma anche noi stessi italiani e persino gli americani, i nostri ultimi alleati, si sono macchiati di colpe, le cui conseguenze restano ancora vive nei ricordi di chi ha vissuto quegli anni; di chi, come Giovacchino ha vissuto dapprima della fanciullezza in clima di libertà, per poi trovarsi adulto in un mondo in cui ogni libertà viene soppressa, persino quella di amare.
Sono dunque ben definiti date e luoghi della narrazione, che attraversa ben trent’anni di storia, anni che appartengono al passato. Ma, sebbene vengano forniti dati cronologici precisi sulla vicenda autobiografica, il fatto stesso che ricorrano espressioni come “un tempo lontano lontano” chiarifica la volontà dell’autore di presentare gli aspetti della vita umana quasi trasponendoli in una dimensione irreale, fiabesca. Gli stessi paesaggi bucolici prediletti nell’opera, le ampie descrizioni romantiche di luoghi e persone, le descrizioni delle donne amate come femmes fatales ne sono un esempio. Il rapporto con la donna, in particolare, la cui adorazione ricorda i tratti dell’amor cortese, subisce un’evoluzione allorché ella è vista anche nella sua fisicità, nella qualità di amante.
Collocando la propria vicenda in un periodo ormai lontano, Marimpietri si presenta come un laudator tempores actos, ancora legato alla bellezza dei tempi andati. E’ pur vero che il progresso scientifico e culturale hanno portato a cambiamenti significativi e positivi in molti aspetti della vita quotidiana, ma il passato di un’età gioiosa, di scoperte ed emozioni genuine da una parte e l’epoca di paura e follia dall’altra, sono veicoli di ricordi che aiutano l’uomo a vivere il presente, affrontandolo meglio. La struttura narrativa, basata su una sequenza di ricordi e giocata tutta su flash-back ricorrenti, intercalati da massime gnomiche, il registro piuttosto elevato, denso di termini ricercati e ormai non più presenti nel vocabolario comune, conferiscono ancor più alla narrazione un carattere extratemporaneo, nonostante l’opera inedita abbia visto la luce solo recentemente. Il tempo lontano è un tempo che non potrà più ritornare, ma vive nel presente attraverso il ricordo di chi l’ha vissuto.
Maurizia La Cascia
nell’universo della propria intimità
GIOVACCHINO MARIMPIETRI
SOGNO D’AMORE
TORMENTO ED ESTASI
DI UNA ETERNA ILLUSIONE
EDITRICE TOTEM
Analisi critica di
Veronica Tecchio
nell’universo della propria intimità
Giovacchino Marimpietri ci consegna un’opera che può essere a buon ragione inserita all’interno del genere autobiografico. Esplicita è infatti la volontà dell’autore di lasciare un documento, una traccia, una memoria della propria esistenza ai posteri.
Come affermava Lejeune l’autobiografia si caratterizza per il racconto retrospettivo che la persona reale fa della propria vita. Implicito, in tale operazione, è il valore attribuito alla propria esperienza, generalmente rappresentativa della propria generazione o del proprio gruppo sociale.
L’accento sul carattere generazionale della storia narrata è percepibile fin dalle prime pagine del libro in cui l’autore tende a differenziare i giovani di oggi da quelli di una volta giustificando, in tal modo, determinate azioni e comportamenti del protagonista.
Nonostante il gruppo sociale in cui è immerso il narratore si possa ben intuire dalle descrizioni che egli ci lascia di abitudini ed usanze quotidiane di se stesso e della propria famiglia, esso non viene a configurarsi come il baricentro degli eventi narrati.
La ricostruzione della propria storia procede infatti di pari passo alle vicende intime dello scrittore e, dunque, sulle orme della sua maturazione sessuale. Proprio tale caratteristica sembra accomunare il racconto al genere del romanzo di formazione: la graduale scoperta del sesso e delle sensazioni che esso comporta sia nel fisico che nella mente, ha per conseguenza l’inserimento a pieno titolo nel mondo degli adulti. Le vicende ci raccontano di un protagonista bambino e un istante dopo, adolescente alle prese con le proprie pulsioni fisiche per riconsegnarcelo maturo, definitivamente travolto dagli eventi di una realtà cruenta. E’ infatti solo nella parte finale del racconto che preponderatamente si fa largo, all’interno della vicenda privata, la storia.
Fino ad allora l’autobiografia procede solo sulla scia della memoria privata, presentandoci l’intimità dei propri turbamenti come una barriera difensiva verso gli eventi familiari e sociali che coinvolgono, suo malgrado, il protagonista.
Le autobiografie intime, pur relativamente rare fino alla fine dell’ottocento (ciò può essere collegato alle abitudini culturali, che non prevedono fino a quest’epoca lo spazio dell’uomo “privato”), prendono piede nel momento in cui si verifica, dalla fine del XVIII secolo in poi, l’impatto di eventi bellici e politici sui singoli e infatti autobiografie e memorie sono inizialmente prodotte da militanti o politici che attribuiscono valore alla vicenda personale in quanto connessa con eventi collettivi.
Agli inizi del ‘900, con Proust prima e Svevo poi, l’autobiografia diventa un mezzo per scavare dentro sé: quello che interessa è parlare di se stessi come individuo e non più del sociale; si prescinde sia dal divino che dal sociale. Il racconto serve per aiutare a capirci e ad accettarci nelle nostre inadeguatezze. Nasce così la psicoanalisi.
E di chiari riferimenti freudiani risulta intriso il racconto di Marimpietri: dai sogni libidinosi su donne spesso molto più grandi di lui alla figura, per molti versi materna e apparentemente intrisa di una candida innocenza evocata dal nome, di Maria la quale subito dopo aver offerto dei dolcetti al bambino (rituale sociale tipicamente rivolto all’infanzia) gli offre i suoi seni non più come “madre” ma come donna.
Una costruzione simile la si ritrova già ne La coscienza di Zeno che raccoglie l’autobiografia del narratore richiestagli dal suo psicologo per la terapia: è un grande flusso di coscienza, che non segue ordine cronologico, ma un criterio tematico, tipico del ragionamento della nostra mente, e che, almeno nella prima parte del racconto, sembra lontano dal contesto storico, al quale evidentemente non dà molta importanza.
Al contrario del racconto sveviano in cui Zeno fin dall’inizio afferma la sua sfiducia e il suo scetticismo nei confronti della terapia psicoanalitica (e quindi verso il testo autobiografico che ne è lo strumento principale), l’opera di Marimpietri è preceduta da una convinta affermazione di veridicità circa i contenuti della stessa.
Questa iniziale assicurazione della totale autenticità dei fatti narrati mi ha portato ad una riflessione istintiva: in che misura è presente il principio di veridicità in una autobiografia? Possono essere considerati attinenti alla realtà dei fatti le descrizioni di una vicenda in cui interviene, come unico criterio discriminante, solo la memoria umana la quale come è noto, non funziona come accumulatore di dati ma come principio selezionatore ed eliminatore? Forse proprio dalla percezione di questo “parzialità” intrinseca al genere autobiografico nasce la necessità per l’autore di affermare al principio del testo che ciò che è scritto è tutto vero.
Sembra che in Giovacchino Marimpietri emerga costantemente l’esigenza di riallacciarsi ad una realtà ormai lontana e di renderla tangibile agli occhi del lettore; essa riesce in parte a concretizzarsi grazie ai numerosi riferimenti alle conseguenze che le sue vicende adolescenziali e giovanili hanno lasciato nel suo fisico.
La testimonianza di verità è infatti fornita dalle cicatrici. Segni indelebili e terreni di ferite corporali rimarginate nel corpo ma ancora aperte nella mente si prestano a testimoni inconsapevoli e a prove schiaccianti che quanto narrato è esistito, è accaduto, ha lasciato traccia. Per ben tre volte vengono citate come prova dei fatti narrati: la cicatrice che il ciclista, ferendolo con il pedale, lascia sul corpo del protagonista, quella che del severo righello della maestra sulle mani del ragazzo e la cicatrice che Lidia cancellerà (guarda caso viene cancellata proprio l’unica non appartenente al protagonista) grazie a un bravo chirurgo.
Se è vero che il patto autobiografico è quello che nel novecento giunge a far coincidere narratore, autore e scrittore è oltremodo vero che esso non deve necessariamente garantire l’esattezza degli eventi narrati. Come dire: non importa poi tanto al lettore se ciò che è stato scritto sia realmente accaduto; l’importante è che il testo rispetti il criterio della verosimiglianza. Nel novecento sono state sperimentate le più disparate sostituzioni identitarie e giochi di maschere (nella letteratura come nel cinema). La formula autobiografica, in tale contesto storico, è stata utilizzata soprattutto dalle donne che hanno usato la memoria, la forma del diario, della confessione, dell’autobiografia privata per indagare sé stesse in un’epoca di grandi cambiamenti socio-culturali.
Spesso le loro sono state indagini sui loro amori (e per questo scartate dalla compagine letteraria ufficiale ed erroneamente catalogate come “cronache rosa”) percorse al solo scopo di ricostruire un’identità permeata da una forte “pensiero di sé” come lo descrive Natalia Ginzburg. Si pensi al romanzo Una donna di Sibilla Aleramo che apre il novecento letterario femminile per arrivare agli anni ottanta a Con gran amor romanzo incompiuto di Alba de Cespedes in cui, per l’appunto, un sogno d’amore (e quindi una vicenda personale) si estende fino a confondersi con l’identità e le vicende storiche della propria gente.
Una prospettiva molto simile sembra utilizzare Marimpietri nei capitoli in cui narra della guerra e del successivo armistizio. Essa sembra variare fra realtà interiore ed esteriore; il referente storico va a mischiarsi in maniera inscindibile alle vicende amorose del protagonista malgrado i suoi sforzi di isolarsi nell’universo della propria intimità.
Fiori di loto che riescono a far dimenticare la crudeltà del mondo esterno, l’amore e il sesso, nei ricordi dell’autore, assumono le caratteristiche di un tormento ed una contemporanea estasi. I rapporti sessuali, così accuratamente descritti nelle pagine del libro, ci vengono descritti con un linguaggio espressionista, fortemente deformate quasi a voler rappresentare in tal modo la loro indicibile sublimità.
Quella narrata da Marimpietri è una concezione dell’amore tipicamente romantica che già dal titolo dell’opera non può non ricondurci alle suggestioni goetheiane dei Dolori del giovane Werter.
Romantica è pure l’idea di una ricerca continua dell’amore in quanto eterna illusione. Maestro in tal senso può essere considerato il Leopardi dello Zibaldone, opera diaristica in cui il poeta annota con precisione sconcertante la propria parabola intellettual-biografica. «I migliori momenti dell’amore sono quelli di una quieta e dolce malinconia dove tu piangi e non sai di che, e quasi ti rassegni riposatamente a una sventura e non sai quale» (dallo Zibaldone, 142 – 27 giugno 1820) afferma il poeta recanatese ma contemporaneamente annota: «Il più solido piacere di questa vita è il piacer vano delle illusioni» (dallo Zibaldone, 51).
Ecco allora farsi largo la memoria, la rimembranza la quale come un medium trasporta l’uomo maturo, grazie a un distacco spazio-temporale, al tempo della fanciullezza della quale può rivivere con piacere i momenti più gioiosi.
Tale tragitto viene percorso istintivamente da Marimpietri, senza alcuna pretesa se non quella di rivivere le tappe più importanti della sua vita per gioirne insieme al lettore di turno. Se i momenti più importanti della sua esistenza risiedono nei brevi ma intensi minuti dei suoi rapporti amorosi è probabilmente perché egli avverte che senza di essi non sarebbe stato quello che è oggi.
Non a caso la sua storia prende inizio dalla sua prima esperienza sessuale; come Dante affronta la sua “vita nuova” alla vista della sua adorata così Marimpietri inizia a vivere dopo l’incontro con Maria.
E non è forse un caso che la donna venga descritta in alcuni luoghi quasi come una figura angelicata, inarrivabile nella sua nobiltà e perfezione salvo poi essere trasformata d’incanto in una femme fatale dalle cui arti magiche il protagonista viene completamente incantato.
Starobinski afferma che è l’importanza culturale dell’esperienza personale ad autorizzare la scrittura autobiografia, ma egli ritiene che lo scarto temporale fra esperienza e scrittura sottenda uno scarto di identità e che l’io attuale che scrive si distacchi dall’io precedente. La motivazione al racconto autobiografico sarebbe allora il cambiamento, la conversione, la trasformazione radicale o al contrario, come sostiene invece Guglielminetti, quello di una vocazione raggiunta, confermata nella propria vita.
Non posso sapere quale delle citazioni si addica all’autore; tra le righe però provo a carpire una risposta e a darne una mia interpretazione: immagino un uomo che per sua stessa ammissione “osserva, riflette e si sente sereno” aiutato dalla consapevolezza che la costruzione della propria identità non è passata attraverso la scoperta di sé stesso ma attraverso la scrittura.
Veronica Tecchio
insegnare la storia attraverso la memoria
GIOVACCHINO MARIMPIETRI
SOGNO D’AMORE
TORMENTO ED ESTASI
DI UNA ETERNA ILLUSIONE
EDITRICE TOTEM
Analisi critica di
Chiara Dell’Omodarme
insegnare la storia attraverso la memoria
Una testimonianza dal passato, una testimonianza di vita, di storia, non una storia qualunque, ma la nostra storia. Questo è il valore prezioso dell’autobiografia di Giovacchino Marimpietri. Un racconto ricco di ricordi di un tempo passato, ricordi che hanno fatto il presente. Rivedere attraverso i suoi occhi l’affascinante scorrere della storia lungo il tempo della memoria.
Attraverso la tradizione orale e scritta prima si tramandava di generazione in generazione le storie di vita passate. Oggi il vortice della vita moderna sta risucchiando questa affascinante tradizione e la catena della testimonianza diretta si sta spezzando, creando enormi buchi neri nella memoria dei giovani d’oggi.
Questo testo deve avere ed ha, secondo me, un compito ben preciso: insegnare la storia attraverso la memoria. L’autobiografia di un uomo che nasce nel 1920, e vive la sua infanzia e la sua adolescenza durante il periodo fascista e la II Guerra Mondiale.
Giovacchino Marimpietri racconta la storia di un giovane come molti di noi, ma in tempi lontani da noi. Quali sono questi tempi lontani?Che cosa hanno significato per la storia del nostro paese?
Giovacchino attraverso le sue parole ci racconta e ci spiega cosa hanno significato realmente quegli anni, quali erano le abitudini e come scorreva giorno per giorno la vita. Le difficoltà economiche, le piccole conquiste quotidiane, l’emozione della prima radio che entra nelle case. Il fascino di mestieri ormai scomparsi, come la bottega dello stagnino, del fabbro.
Per noi giovani, è difficile immaginare e capire realmente come fosse la realtà di quegli anni, come si svolgesse la vita a quei tempi. Un bambino di nove anni nel 1929, l’anno dei Patti Lateranensi e della crisi economica, che vive con la sua famiglia a Cosenza e comincia a vivere le prime emozioni d’amore, a scoprire per la prima volta l’altro sesso, con la sua bellezza e il suo fascino calamitante.
Il racconto di questa scoperta, che turba il suo animo e il suo cuore in un dolce smarrirsi, e diventa un ingrediente fondamentale di tutta la sua vita: il suo tormento e la sua gioia. Amori raccontati in tutta la loro profondità e in tutta la loro passione, utilizzando uno stile e un linguaggio capaci di coinvolgere il lettore in tutta la sua frenesia amorosa, senza mai nemmeno sfiorare la soglia del volgare. Ogni atto d’amore è un qualcosa di unico nel suo momento e nella sua passione amorosa. Attraverso la pura descrizione fisica del piacere l’autore esalta il fascino e la femminilità delle donne, ognuna nella loro unicità.
L’estasi del piacere provocato dall’amore, si incrocia, si contrappone e viaggia fianco a fianco con le vicende che attraversano la vita di Giovacchino. La “droga” della passione diventa per lui un rifugio in cui trova conforto e riesce a distaccarsi dal mondo circostante. Il tempo perde di significato e l’esplosione delle bombe dietro casa non possono coprire il vortice dell’esplosione dell’amore tra due corpi infuocati.
Quindi anche quei giovani uomini e quelle giovani donne d’altri tempi si lasciavano trasportare dal fuoco della passione. Anche loro nonostante i forti moralismi e i pudori che li circondavano conoscevano la bellezza di liberare l’amore.
Forse lo conoscevano e lo assaporavano con più gusto di noi. Il gusto di infrangere i paletti e le regole di una morale così radicata, qual era quella in cui venivano allevati i giovani di un tempo, rendeva il desiderio della passione un piacere ancor più meraviglioso: il piacere del proibito.
La dittatura fascista sconvolge e trasforma totalmente la vita della gente. Almeno questo è ciò che vediamo noi, noi che abbiamo letto sui libri di storia la descrizione di quegli anni e di quegli avvenimenti. Ma il giudizio di coloro che in quegli anni c’erano è qualcosa di più profondo e complesso di questo. La parola fascismo è un termine oggi molto strumentalizzato dai giovani, che spesso senza conoscerne il significato reale lo usano per evidenziare una netta distinzione, all’interno dei gruppi, tra comunisti (altro termine fortemente strumentalizzato) e fascisti: cioè tra destra e sinistra. Nessuno più di chi l’ha vissuto sulla proprio pelle, può raccontare sebbene con punti di vista differenti, cosa realmente ha significato quel periodo storico nella vita del nostro paese. Giovacchino, assume una posizione, che nella visione di oggi può spiazzare. Non condanna mai il fascismo durante la sua narrazione, ma lo racconta in modo molto realistico. Racconta le contraddizioni interne a questo movimento, come si è evoluto fino a crollare lasciando alla deriva i suoi forti sostenitori, che in molti casi passano, come accade a Giovacchino, dalla parte dei partigiani.
Attraverso gli occhi di un bambino di dieci anni descrive la consuetudine di indossare la divisa da “balilla” durante lo svolgimento di determinate cerimonie, come una ridicola vestizione. Non comprendeva tale usanza e non ne capiva il fascino che invece provocava in molti suoi coetanei, che assumevano nell’indossare tale “simulacro della morte” un atteggiamento combattivo e fiero, che raggiungeva poi inevitabilmente i limiti del fanatismo. Nonostante ciò, i giovani trovavano un risvolto molto positivo in quella disciplina che educava fin da bambini ad uno spiccato patriottismo e ad un forte amore per la famiglia. Queste identiche considerazioni l’ho sempre sentite fare da mia nonna, cresciuta anche lei in quegli stessi anni, di cui ci racconta l’autore. Forse, quindi, l’educazione fascista pur nelle situazioni estreme di fanatismo ideologico e di ipocrisia familiare ha lasciato un segno positivo in coloro che l’hanno ricevuta.
E’ affascinante potersi confrontare con un giovane del secolo scorso, con la sua esperienza e con la sua vita. Leggere tra le pagine della sua vita come se stessimo guardando un film, ma un film di vita reale. Questa è la storia, questa è la vera storia. Non c’è niente di più vero e di più reale del racconto di chi ha vissuto la storia, della sua memoria. Niente colpisce i giovani quanto ascoltare o leggere la testimonianza diretta del passato. E’ qualcosa che non si può dimenticare, rimarrà impressa nelle nostri menti come un segno indelebile del nostro passato.
Chiara Dell’Omodarme
insegnare la storia attraverso la memoria
GIOVACCHINO MARIMPIETRI
SOGNO D’AMORE
TORMENTO ED ESTASI
DI UNA ETERNA ILLUSIONE
EDITRICE TOTEM
Analisi critica di
Chiara Dell’Omodarme
insegnare la storia attraverso la memoria
Una testimonianza dal passato, una testimonianza di vita, di storia, non una storia qualunque, ma la nostra storia. Questo è il valore prezioso dell’autobiografia di Giovacchino Marimpietri. Un racconto ricco di ricordi di un tempo passato, ricordi che hanno fatto il presente. Rivedere attraverso i suoi occhi l’affascinante scorrere della storia lungo il tempo della memoria.
Attraverso la tradizione orale e scritta prima si tramandava di generazione in generazione le storie di vita passate. Oggi il vortice della vita moderna sta risucchiando questa affascinante tradizione e la catena della testimonianza diretta si sta spezzando, creando enormi buchi neri nella memoria dei giovani d’oggi.
Questo testo deve avere ed ha, secondo me, un compito ben preciso: insegnare la storia attraverso la memoria. L’autobiografia di un uomo che nasce nel 1920, e vive la sua infanzia e la sua adolescenza durante il periodo fascista e la II Guerra Mondiale.
Giovacchino Marimpietri racconta la storia di un giovane come molti di noi, ma in tempi lontani da noi. Quali sono questi tempi lontani?Che cosa hanno significato per la storia del nostro paese?
Giovacchino attraverso le sue parole ci racconta e ci spiega cosa hanno significato realmente quegli anni, quali erano le abitudini e come scorreva giorno per giorno la vita. Le difficoltà economiche, le piccole conquiste quotidiane, l’emozione della prima radio che entra nelle case. Il fascino di mestieri ormai scomparsi, come la bottega dello stagnino, del fabbro.
Per noi giovani, è difficile immaginare e capire realmente come fosse la realtà di quegli anni, come si svolgesse la vita a quei tempi. Un bambino di nove anni nel 1929, l’anno dei Patti Lateranensi e della crisi economica, che vive con la sua famiglia a Cosenza e comincia a vivere le prime emozioni d’amore, a scoprire per la prima volta l’altro sesso, con la sua bellezza e il suo fascino calamitante.
Il racconto di questa scoperta, che turba il suo animo e il suo cuore in un dolce smarrirsi, e diventa un ingrediente fondamentale di tutta la sua vita: il suo tormento e la sua gioia. Amori raccontati in tutta la loro profondità e in tutta la loro passione, utilizzando uno stile e un linguaggio capaci di coinvolgere il lettore in tutta la sua frenesia amorosa, senza mai nemmeno sfiorare la soglia del volgare. Ogni atto d’amore è un qualcosa di unico nel suo momento e nella sua passione amorosa. Attraverso la pura descrizione fisica del piacere l’autore esalta il fascino e la femminilità delle donne, ognuna nella loro unicità.
L’estasi del piacere provocato dall’amore, si incrocia, si contrappone e viaggia fianco a fianco con le vicende che attraversano la vita di Giovacchino. La “droga” della passione diventa per lui un rifugio in cui trova conforto e riesce a distaccarsi dal mondo circostante. Il tempo perde di significato e l’esplosione delle bombe dietro casa non possono coprire il vortice dell’esplosione dell’amore tra due corpi infuocati.
Quindi anche quei giovani uomini e quelle giovani donne d’altri tempi si lasciavano trasportare dal fuoco della passione. Anche loro nonostante i forti moralismi e i pudori che li circondavano conoscevano la bellezza di liberare l’amore.
Forse lo conoscevano e lo assaporavano con più gusto di noi. Il gusto di infrangere i paletti e le regole di una morale così radicata, qual era quella in cui venivano allevati i giovani di un tempo, rendeva il desiderio della passione un piacere ancor più meraviglioso: il piacere del proibito.
La dittatura fascista sconvolge e trasforma totalmente la vita della gente. Almeno questo è ciò che vediamo noi, noi che abbiamo letto sui libri di storia la descrizione di quegli anni e di quegli avvenimenti. Ma il giudizio di coloro che in quegli anni c’erano è qualcosa di più profondo e complesso di questo. La parola fascismo è un termine oggi molto strumentalizzato dai giovani, che spesso senza conoscerne il significato reale lo usano per evidenziare una netta distinzione, all’interno dei gruppi, tra comunisti (altro termine fortemente strumentalizzato) e fascisti: cioè tra destra e sinistra. Nessuno più di chi l’ha vissuto sulla proprio pelle, può raccontare sebbene con punti di vista differenti, cosa realmente ha significato quel periodo storico nella vita del nostro paese. Giovacchino, assume una posizione, che nella visione di oggi può spiazzare. Non condanna mai il fascismo durante la sua narrazione, ma lo racconta in modo molto realistico. Racconta le contraddizioni interne a questo movimento, come si è evoluto fino a crollare lasciando alla deriva i suoi forti sostenitori, che in molti casi passano, come accade a Giovacchino, dalla parte dei partigiani.
Attraverso gli occhi di un bambino di dieci anni descrive la consuetudine di indossare la divisa da “balilla” durante lo svolgimento di determinate cerimonie, come una ridicola vestizione. Non comprendeva tale usanza e non ne capiva il fascino che invece provocava in molti suoi coetanei, che assumevano nell’indossare tale “simulacro della morte” un atteggiamento combattivo e fiero, che raggiungeva poi inevitabilmente i limiti del fanatismo. Nonostante ciò, i giovani trovavano un risvolto molto positivo in quella disciplina che educava fin da bambini ad uno spiccato patriottismo e ad un forte amore per la famiglia. Queste identiche considerazioni l’ho sempre sentite fare da mia nonna, cresciuta anche lei in quegli stessi anni, di cui ci racconta l’autore. Forse, quindi, l’educazione fascista pur nelle situazioni estreme di fanatismo ideologico e di ipocrisia familiare ha lasciato un segno positivo in coloro che l’hanno ricevuta.
E’ affascinante potersi confrontare con un giovane del secolo scorso, con la sua esperienza e con la sua vita. Leggere tra le pagine della sua vita come se stessimo guardando un film, ma un film di vita reale. Questa è la storia, questa è la vera storia. Non c’è niente di più vero e di più reale del racconto di chi ha vissuto la storia, della sua memoria. Niente colpisce i giovani quanto ascoltare o leggere la testimonianza diretta del passato. E’ qualcosa che non si può dimenticare, rimarrà impressa nelle nostri menti come un segno indelebile del nostro passato.
Chiara Dell’Omodarme
il sogno d’amore e la perdita dell’innocenza
GIOVACCHINO MARIMPIETRI
SOGNO D’AMORE
TORMENTO ED ESTASI
DI UNA ETERNA ILLUSIONE
EDITRICE TOTEM
Analisi critica di
Tatiana Rossi
il sogno d’amore e la perdita dell’innocenza
Sogno d’Amore è un libro di memorie, lo si capisce sin dal prologo. E sin dalle prime pagine si percepisce come l’impellenza dell’autore sia quella di collegare la rievocazione ad una precisa forma dell’esperienza, quella amorosa. È solo alla fine, tuttavia, che si comprende il vero senso di questo “sogno”, perché l’architetto Marimpietri comincia col ricordare i tempi della primissima infanzia per arrestarsi sulla soglia dell’età matura, ai suoi ventiquattro anni. Per quale motivo un uomo spinto dalla volontà di raccontarsi dovrebbe farlo fino ad un certo punto? Meglio ancora, fino a quel preciso punto? Per non avere dubbi lo si dovrebbe chiedere all’autore, certo. Tuttavia l’impressione del lettore è che egli abbia scelto di riportare alla luce una precisa e circoscritta fase del suo passato, che nella mente corrisponde al tempo perduto.
Il tempo perduto di cui egli discorre non è la complessità del personale passato, che allora, volendo, in potenza potrebbe arrestarsi all’attimo prima di mettere mano al racconto, ma è, piuttosto, una dimensione dell’anima, una dimensione perduta, sperduta, addirittura, in una regione lontana dello spirito prima ancora che nello spazio e nel tempo. La rievocazione è il ritratto di una natura umana incontaminata, su cui l’esperienza, i fatti esterni, i condizionamenti, la Storia non hanno ancora lasciato il segno. Nel racconto di sé, forse a se stesso prima ancora che al lettore, Marimpietri recupera il proprio sé originario, rintraccia e riversa come un fiume, sulla pagina, un modo di vivere, un modo di percepire ed interpretare il mondo. Il protagonista punta tutto sull’esperienza erotico-amorosa, ravvisando in essa la spinta vitale più forte, la chiave di volta dell’esistenza.
Il fatto che egli sia perfettamente cosciente di questa ineluttabile necessità, sin dall’infanzia, amplifica la portata dell’esperienza amorosa, che allora trascende la limitatezza del soggetto e dell’esperienza soggettiva per denotarsi come istinto collettivo primordiale e irrinunciabile. Attraverso la narrazione trapela una concezione dell’amore come coinvolgimento totale, come esperienza ed occasione d’evoluzione psico-fisica dell’individuo. Si tratta, come anche è detto in un passo del libro, di uno “stato di grazia”: il sentimento non perde mai la sua connotazione elementare ed umana, ma a partire da questo stadio primario, istintivo e selvaggio, il sentimento stesso conosce una sublimazione che lo ricolloca nella sfera del mito e lo identifica con la divinità. L’eros è recuperato nella sua purezza di mito intramontabile e, nella sua essenza ancestrale, si coniuga e definisce mediante l’opposizione col thanatos.
Lo prova che, nello scorrere delle pagine, ogni incontro amoroso è vissuto da un lato come irriducibile forza vitale e costruttiva, dall’altro come forza distruttiva, come tensione verso l’annullamento del sé, come cancellazione della volontà, come perdita del soggetto che quasi si lascia fagocitare dall’altro. Allo stato puro, che poi è l’infanzia del corpo, della mente e della psiche, il soggetto senza esperienza subisce la deliziosa tortura dei suoi primi turbamenti, sperimenta febbrilmente la dimensione viscerale delle proprie pulsioni profonde, si lascia soggiogare e schiacciare da questa immensa forza che è l’amore, perché nell’estasi che ne deriva gli si rivela il senso della vita.
Tutte le donne incontrate ed amate, dalla prima all’ultima, hanno qualcosa in comune e qualcosa di profondamente diverso. In qualche modo tutte loro incarnano, a turno, il principio dell’eros, vale a dire sono la trasfigurazione stessa dell’essenza erotica. La differenza tra loro, invece, non sta tanto nelle rispettive variabili somatiche, che pure sono un tratto di apparente distinzione, quanto nel fatto che ad ognuna di esse corrisponde un diverso stato della coscienza dell’autore. Così, tutte le sue amate donne riflettono in realtà un cammino, un percorso attraverso il quale Marimpietri comincia lentamente ad acquisire una visione più razionale del mondo, della vita, e dell’amore stesso.
Perciò Sogno d’Amore è, oltre che un libro di memorie, anche un romanzo di formazione, dove la progressione degli eventi rende il protagonista, se non libero, almeno meno schiavo dell’amore. Ma è attraverso questa evoluzione, attraverso questa conquista dell’indipendenza, non altro, poi, che un relativo equilibrio tra istinto e ragione, che avviene la vera perdita dell’innocenza e la perdita della vera innocenza. La differenza tra il fanciullo e l’uomo che racconta è tutta qui, non è una questione di anni, è invece un fatto di inevitabile contaminazione dello spirito dovuta al contatto con la vita. La cesura fra queste due età dell’anima la si individua esattamente sul punto in cui l’autore interrompe la rievocazione.
Non sarà l’amore a cambiare il nostro uomo, piuttosto sarà lui a cambiare l’amore, il suo modo d’amare cioè, lentamente, forse inconsapevolmente, sotto la spinta delle circostanze materiali. Ecco allora comparire, accanto alla sua storia intima e segreta, e affianco alla sua vicissitudine familiare, la Storia con la S maiuscola degli eventi mondiali. Nel racconto gli sconvolgimenti del Novecento si fanno spazio a fatica, ma lentamente si conquistano un posto, che sul limite della narrazione fa sentire tutto il loro peso. Inizialmente radi, semplificati, filtrati dagli occhi del bambino, cominciano, da un certo punto in poi, ad essere percepiti in maniera più profonda, ad essere interiorizzati, analizzati alla luce di una vita che non può solamente ridursi al proprio rettangolo di terra, per finire poi col segnare l’uomo profondamente e irrimediabilmente.
Allo stesso modo i viaggi, intesi come spostamenti materiali nello spazio e nel tempo, riflettono l’evoluzione umana di quest’uomo, ed anch’essi, in origine puramente dettati dalle esigenze del nucleo familiare di provenienza, e in quanto tali subiti, finiscono col diventare scelte consapevoli, dettate da personali esigenze di realizzazione intellettuale, per diventare poi delle scelte obbligate, legate alle ineliminabili contingenze storiche del momento. Questa costruzione razionale del soggetto influenza il primario nucleo dell’essere, qualcosa si perde nel cammino, la soddisfazione dell’istinto erotico è costretta ad un ridimensionamento. Il distacco dall’ultima donna fra quelle desiderate e amate, l’ultima di cui Marimpietri ci narra perlomeno, avviene quasi ex abrupto; la lotta interiore fra volere e dovere è talmente attenuata, rispetto all’inizio della rievocazione, che il lettore, se non avesse imparato a conoscere il protagonista, sarebbe portato a crederla una separazione senza sofferenza.
Ma tra i fatti terribili della Seconda Guerra Mondiale, la caduta del fascismo, l’armistizio, la guerra civile italiana, i bombardamenti, la povertà dilagante di enormi masse di popolazione, tra tutto questo, cosa sarebbe stato lagnarsi per il dover allontanarsi dalla propria donna, e descriverlo poi. Forse l’autore, nella sua maturità di uomo, ha tralasciato di farcene partecipi per un senso del pudore, ritenendo che, di fronte alla visione di un’apocalittica devastazione collettiva, la manifestazione di una pena d’amore perduto potesse apparire inadeguata. Presumibilmente, se anche ce ne avesse reso partecipi, non l’avrebbe resa con la stessa intensità dei primi amori, dei primi distacchi. Chissà.
Ma la personalità del nostro narratore non è cosa da tutti i giorni; lo spirito di ribellione, la sua esuberanza, la sua straordinaria capacità di osservazione, la vitalità e la raffinatezza di tanti suoi pensieri ce lo fanno piacere in ogni caso, e oggi, sulla soglia dei suoi ottantasei anni, il desiderio di raccontarci i suoi giorni, la bellezza della vita, la meraviglia delle stagioni, e l’impressionante vividezza della sua visione sono testimonianza di un grande patrimonio umano, di un uomo ben vissuto, dopotutto, che nonostante la vita non ha mai smesso di essere un fanciullo.
Tatiana Rossi
GIOVACCHINO MARIMPIETRI
SOGNO D’AMORE
TORMENTO ED ESTASI
DI UNA ETERNA ILLUSIONE
EDITRICE TOTEM
Analisi critica di
Francesco Paolo Manna
Sogno d’amore si inscrive sia nell’orbita dell’autobiografia pura che in quella della memorialistica, ma predilige chiaramente la prima. La distinzione fra le due dimensioni letterarie non è pacifica, si tratta di categorie eterogenee, anche se connesse fra loro: entrambe trovano una comune radice nella veridicità dei fatti narrati, dei quali l’autore si fa testimone e garante, oltre che io-narrante autonomo.
La diversità riguarda stile, contenuti ed intenti dell’opera. Un’autobiografia pura, parafrasando il critico letterario Philippe Lejeune, è un racconto retrospettivo in prosa, redatto da un individuo reale che pone l’accento sulla propria esistenza e personalità. Una categoria che trova il suo primo illustre modello nelle Confessioni di Sant’Agostino; nel secolo scorso l’autobiografia tende ad ibridarsi con le forme romanzesche, costituendo la linfa vitale della grande narrativa del Novecento ( Joyce, Proust, Sartre; oppure, rimanendo nei nostri confini nazionali, Svevo, Moravia, ecc.).
Nella memorialistica quello che viene presentato è invece lo sguardo di un singolo uomo di fronte ad eventi storici di interesse generale. L’ego dell’autore si fa da parte e si prodiga, spesso spinto da motivi ideologici e politici, nel descrivere fenomeni pubblici sconvolgenti dei quali, in qualche misura, si è reso partecipe.
Sogno d’amore è un’opera scissa, in parti disuguali, fra i due differenti generi. Viene frantumata dalla deflagrazione del secondo conflitto mondiale, che costituisce uno spartiacque per la vita dell’autore. Da quel momento Giovacchino Marimpietri diviene narratore non solo della propria vita, ma di quella di tutti gli italiani coinvolti nelle vicende belliche; si segna dunque lo scarto fra autobiografia e memorialistica di guerra.
Sogno d’amore non aderisce quindi del tutto ai canoni della memorialistica, lasciando solo poche schegge finali al racconto della Seconda Guerra Mondiale. È necessario analizzare le due parti in modo distinto.
Il tema conduttore della prima sezione di Sogno d’amore – quella puramente autobiografica -, come rivela il titolo stesso, è il senso poliedrico e vitale del sentimento amore: amore viscerale per i propri familiari, ammirazione e gratitudine verso alcuni insegnanti e per la suora Caterina, timorata devozione nei confronti di Dio. Amore inebriato nel perdersi fra le meraviglie della natura, rappresentata con un descrittivismo manierato di stampo dannunziano: ma anche per le opere umane, come la musica di Beethoven o le magnificenti architetture di Firenze. Infine, l’amore più sconvolgente ed intenso, quello erotico, che assume caratteri di assoluta preponderanza, sconfinando nei territori dell’ossessione. Fino al tragico ingresso della Seconda Guerra Mondiale nella vita dell’autore, Sogno d’amore si configura come un elenco di esperienze sessuali intervallate da ricordi patetici e nostalgici, riguardanti giochi infantili, feste ed usanze del tempo, piccoli aneddoti familiari. Inizialmente la stessa guerra sembra essere considerata soltanto un fastidioso impedimento ai congressi carnali dell’autore.
Vengono alla mente romanzi (o meglio: autobiografie camuffate da romanzi) come Donne di Charles Bukowski o Sexus di Henry Miller: ma subito ne vanno stabilite le sostanziali divergenze. In Sogno d’amore non c’è una maschera romanzesca, neppure per i nomi. Non ci sono ampi spazi dedicati alle meditazioni di tipo filosofico o politico. Nei brevi momenti in cui l’autore si distacca dalla cronaca degli eventi per meditare, emerge un semplice e rassegnato pessimismo di stampo cristiano. “Cenere eri e cenere tornerai”: in questo si riassume la morale dell’autore, che non può far altro, negli anni della vecchiaia, che prendere atto amaramente della caducità delle cose umane. Vi è anche una generica accusa contro i dittatori, unita alla disperata constatazione di come gli uomini si avvelenino ulteriormente l’esistenza con la crudele, ma inevitabile ed irrisolvibile, lotta fra servi e padroni. Il vero interesse dell’autore, l’unica profonda consolazione che può trovare a questi mali, è però in realtà l’amore che sanno dare le donne. L’universo femminile viene interpretato, alla maniera del Petrarca, come ambiguo ed inspiegabile connubio di corpi desiderabili ed ineffabili angeli. Ma le frequenti e particolareggiate descrizioni erotiche, forse fin troppo enfatiche e condotte tramite una scelta di vocaboli a volte discutibile, la fanno da padrone. Proprio come avviene in Miller, ma con una prospettiva speculare. Mentre Miller descrive il sesso come un atto di crudele dominio dell’uomo nei confronti della donna, perpetrato con lucido distacco e svuotato da ogni cedimento ad inutili tenerezze, in Sogno d’amore i ruoli si ribaltano. Il susseguirsi degli eventi iniziali ricorda uno dei topos della narrativa di Alberto Moravia: il protagonista travolto da una pura casualità che sconvolge la sua vita e genera in lui un’ossessione, senza che egli ne abbia né colpa né merito. Casualità rappresentata, nel caso di Sogno d’amore, da una palla di gomma schizzata via, complice della scena di voyeurismo (altra coincidenza con Moravia) che porterà a subire una precoce scoperta del sesso. La sessualità è uno stato prossimo all’estasi, al perdere se stessi nell’abbandono totale di ogni forma di controllo; le donne sono voraci animali in cerca di piacere da prendere e donare al tempo stesso. Al contrario che in Miller, qui sono le donne ad avere il sopravvento, usando e possedendo l’uomo a loro piacimento. Sono donne che quasi non parlano, se non per esprimere la loro lussuria irrefrenabile; le parole sono inutili, quando si ha il dono di saper comunicare con il corpo in modo tanto potente e totale. Un’altra traccia di cristianità, più velata, si presenta nel senso di colpa che si insinua nell’animo dell’autore, che sente la necessità di giustificare, in brevi requisitorie. la sua condotta sessuale. Ma la vita ha la meglio sulle inibizioni religiose; e neanche ai sentimentalismi viene concesso troppo spazio, accusati di frenare la naturalezza del sesso. Nella spontaneità, nella sincerità con cui viene descritto l’effetto che solo l’esperienza dell’amore fisico può avere sull’animo umano, si trovano le note migliori della prima parte di Sogno d’amore.
Un argomento di grande rilievo come la Seconda Guerra Mondiale, avrebbe meritato qualche pagina in più, a discapito di quelle dedicate al racconto dettagliato di comuni vicende quotidiane, ma le ragioni di Giovacchino Marimpietri a volte sembrano metatestuali.
La seconda parte di Sogno d’amore è, per certi versi, in linea con molta della memorialistica di guerra del Novecento (ad esempio i diari di Ardengo Soffici). La narrazione procede per episodi sommariamente legati fra loro; la memoria non sa descrivere la guerra in modo completo, procede per scarti, non conserva né il meglio né il peggio, ma soltanto quello che può. Le ingiustizie ed i soprusi legati alla prigionia sono alcuni fra i temi più tipici e strazianti nella memorialistica di guerra.
Le testimonianze storiche presenti in Sogno d’amore sono preziose e commoventi: solo chi ha avuto davanti ai propri occhi simili orrori può descriverli. La “caccia alle streghe” che conduceva alla sommaria esecuzione di chiunque fosse un presunto fascista, gli irrazionali voltafaccia del popolo e le disumane lungaggini della burocrazia militare, sono scenari di straordinario interesse. L’insofferenza verso burocrazia e gerarchia militare è tipica di molte memorie di guerra, anche negli autori meno critici nei confronti dell’esercito.
Bella infine, poetica e discreta, la frase di chiusura.
Per quanto concerne la struttura dell’opera, l’impressione globale è che Sogno d’amore sia stato scritto senza aver precedentemente elaborato uno schema da sviluppare, cioè buttando giù una pagina e poi un’altra ancora, senza sapere quello che si sarebbe scritto nella successiva. Un po’ come mettere un mattone sopra l’altro, senza prima disegnare un progetto a tavolino, e vedere cosa ne viene fuori. La disposizione degli eventi e degli argomenti risulta affastellata, dando luogo ad una narrazione volutamente casuale, legata solo da un tenue filo cronologico. Spesso Giovacchino Marimpietri abbandona un determinato episodio per lasciarsi andare ad una catena di associazioni mentali; poi improvvisamente torna al punto di partenza. Prendiamo la scena di voyeurismo: il resoconto del rapporto carnale viene interrotto dalla descrizione dei giochi infantili dell’epoca. L’autore riprende poi la descrizione della scena erotica, la conclude e torna nuovamente a parlare dei suoi svaghi da bambino fino al termine del paragrafo.
Cosicché la caratteristica narrazione in prima persona di Giovacchino Marimpietri ridimensiona eventi di dimensioni imprecisabili nelle cause e negli effetti a misura d’uomo. Filtra con gli occhi di un ricordo lontano, seleziona alcuni particolari, fornisce al lettore una propria singolare interpretazione.
Il lettore, d’altro canto, è chiamato dal testo narrativo a rielaborare il contenuto di nuovi significati.
In questo modo Sogno d’amore garantisce un dialogo incessante tra passato e presente con una rivalutazione continua del ruolo della memoria e un arricchimento del quale chi scrive è primo responsabile, e chi legge necessario continuatore.
Francesco Paolo Manna
GIOVACCHINO MARIMPIETRI
SOGNO D’AMORE
TORMENTO ED ESTASI
DI UNA ETERNA ILLUSIONE
EDITRICE TOTEM
Analisi critica di
Carmen Scarano
Sogno d’amore. Tormento ed estasi di una eterna illusione è un romanzo che rientra nella categoria stilistica del memoriale novecentesco. Il memoriale non rappresenta un semplice “tipo” di romanzo, bensì è il racconto/confessione scritto in prima persona dall’autore. In esso si intrecciano tipologie tematiche e registri stilistici diversi che sfuggono alle normali “regole” della scrittura, proprio per la profondità del messaggio che la confessione vuole veicolare. L’autore e il personaggio si ritrovano ad essere la stessa persona, il vissuto passato o presente sono il fulcro dell’opera letteraria che l’autore si prefigge di realizzare aprendo la sua memoria, offrendo al lettore i propri ricordi, le proprie emozioni, i dolori, le passioni di una vita che non apparterranno più esclusivamente alla sfera privata, ma a tutti coloro che sceglieranno di sfogliare le pagine del libro.
Giovacchino Marimpietri è pienamente cosciente della forza della sua scrittura la quale diventa un vero e proprio stato di grazia, dove a governare, è l’io narrante. La caratteristica comune dei memoriali o romanzi/confessione è rappresentata dal fatto che vengono scritti quando gli avvenimenti sono già accaduti, questo può avvenire giorno per giorno o addirittura dopo anni; ma lo sguardo dell’autore è rivolto sempre al passato. Il romanzo è un gigantesco flash bach; oggetti, luoghi, persone, sentimenti, emozioni e perfino gli odori riprendono forma, vengono ripescati come per magia nell’immenso oceano della memoria. Ogni ricordo contiene una diversa chiave di lettura che l’autore reinterpreta nel tempo, scoprendo a distanza di anni lati più profondi della propria esistenza. Lo scrittore offre al lettore il racconto della propria vita in modo schietto e sincero, con la consapevolezza di suscitare nel lettore sentimenti contrastanti, di ammirazione o anche di disprezzo. Ma questo è lo scotto da pagare per chi sceglie di dichiarare il vero. A dispetto della sua non più giovane età, anche Giovacchino Marimpietri architetto, oggi 86nne, decide con coraggio di scavare dentro il suo animo, di compiere un viaggio nella memoria, per raccontare al lettore ma soprattutto a se stesso, un piccolo ma importante spezzone della sua vita, che va dal 1927 alla fine di ottobre del 1945. Immagino Giovacchino seduto su quella panca ad ammirare la natura circostante, mentre pensa al suo passato e cerca di riunire i pezzi del suo mosaico, qualche colore risulta un po’ sbiadito, altri sono persi per sempre come nomi o luoghi lontani, ma le emozioni sono sempre le stesse, come se il tempo si fosse fermato e abbia stampato nel cuore e nell’animo dell’autore un ricordo perenne, un insegnamento prezioso per se stesso e per il lettore.
Oh! La fanciullezza, l’adolescenza e la giovinezza! Le stagione della vita che sembrano un’eterna primavera, amate ed odiate dall’uomo che inizia a scoprire l’amore, questa splendida magia che rende l’uomo schiavo, che lo fa soffrire e gioire allo stesso tempo, incatenato a dolci catene che non vorrebbe mai spezzare. Giovacchino dà inizio al suo racconto, narrando del suo primo amore. Giovacchino ha solamente nove anni quando sul suo cammino compare la bella ed angelica Mimma di un paio d’anni più grande di lui, il cuore inizia a scalpitare come fosse un cavallo imbizzarrito e sarà sempre così per quel fanciullo che con il tempo imparerà a convivere con il suo modo di amare così struggente, passionale, infuocato.
L’autore racconta con serenità la sua vita passata, con la spontaneità dell’adolescenza e la malizia e l’audacia di un uomo maturo che guarda al suo passato con nostalgia e passione. Mimma rappresenta il primo di una serie di amori vissuti intensamente e volutamente nascosti alla famiglia, forse per pudore o per proteggere da giudizi indiscreti qualcosa di così bello e prezioso, qualcosa che deve appartenere ad un’unica persona. Il primo ed inebriante amore spalanca le porte all’eccitamento fisico e non solo spirituale. I primi baci, le prime carezze proibite rendono l’autore consapevole di non essere più un bambino dedito ai giuochi, ma voglioso di conoscere l’amore nella sua massima espressione. La scoperta dell’amore fisico avviene per caso e colpisce Giovacchino come un fulmine a ciel sereno: spiare due amanti segreti mentre si concedono con ardore quasi animalesco, spinge Giovacchino a ricercare in futuro emozioni simili, a voler amare le sue donne intensamente, totalmente, con lo spirito e con il corpo, facendosi risucchiare nel vortice dell’eccitamento, della voglia di donarsi all’altra sempre come se fosse la prima volta. Nel raccontare senza penuria di particolari, l’autore non risulta mai osceno o volgare, le sue emozioni vivono sulla carta, impresse dall’inchiostro e dettate dalla sua memoria fervida, che non lo abbandona mai. Quando l’inchiostro si riversa sul foglio, l’autore rivive ogni singolo istante della sua piena vita e dei suoi amori. Esalta sempre le sue donne, descrive di ognuna l’animo, il carattere, la fisicità, ma sempre in modo diverso, con orgoglio e dedizione, trasmettendo al lettore l’unicità di ogni suo incontro, e l’amarezza che rimane in bocca alla fine di ogni storia. Il lettore è risucchiato dalle precise descrizioni degli incontri amorosi, magari rimane anche sconvolto dalla tenera età dell’autore e dalle sue compagne/bambine che si affacciano all’amore fisico con tale spudoratezza. Quello che farà rimanere di stucco il lettore è la sapiente descrizione dei due incontri amorosi tra Giovacchino di 11/12 anni e la mitica Maria (la donna di Carlino il gelataio, la coppia che l’autore aveva sorpreso a far l’amore segretamente e che non si era disdegnato di spiare fino alla fine). L’autore sottolinea in prima pagina che tutto quello che ha scritto è pura verità. Il lettore non può fare a meno di interrogarsi sulla vicenda: come può una donna adulta irretire un ragazzino? La risposta è nel racconto/confessione: Giovacchino non è stato irretito, al contrario ha dimostrato di condividere pienamente il desiderio perverso di Maria. La donna si è rivelata una sorta di nave-scuola per quel ragazzino perennemente eccitato al pensiero di possederla e per niente turbato, anzi soddisfatto della scelta della donna. Maria chiude un capitolo importante della vita di Giovacchino, capitolo che coincide con l’abbandono dell’amata Calabria per raggiungere Sondrio con la madre, la cara zia Ninetta e le sorelline, dove li aspetta in trepidante attesa il padre, trasferitosi per lavoro. Ma la vita di Giovacchino non si consuma nel desiderio sfrenato di provare la potenza dell’amore, naturalmente vive le paure e le vicissitudini di un semplice ragazzino della sua età che si dibatte tra le partite a pallone con gli amici, i compiti, la scuola, gli esami, i piccoli incidenti familiari, il trasferimento in una città del nord così lontana per cultura dalla solare Calabria. Il trasferimento a Sondrio apre la seconda importante tappa della vita dell’autore. Nuova città, nuovi amori, nuove emozioni. In primis il bisogno di integrarsi col territorio, basta pochissimo perché Giovacchino conosca nuovi amici, rimane abbagliato dalla bellezza della natura e felice di vivere a contatto con essa, gioisce semplicemente per la vista di una spettacolare distesa di ciclamini, di montagne, cascate, dirupi e percorsi da seguire con i suoi affezionati compagni di viaggio. Rimane sorpreso dalla maestria degli artigiani locali e stringe amicizia con fabbri, falegnami, li ammira scrupolosamente nel forgiare le loro creazioni. La vita scorre lenta a Sondrio, le stagioni si susseguono, la routine familiare è la stessa, fino a quando gli avvenimenti porteranno Giovacchino a trasferirsi a Roma e purtroppo a conoscere l’atrocità della seconda guerra mondiale. Non voglio dilungarmi maggiormente sulla semplice sequenza degli avvenimenti, e far perdere al lettore il gusto di andare avanti nella lettura, ma credo vivamente che l’ultima parte del racconto sia la più intensa ed emozionante. La guerra purtroppo ha la capacità di trasformare l’uomo, nel bene o nel male, Giovacchino da studente/ragazzo è costretto a divenire un soldato, abbandona i suoi sogni, i giochi da bambino, per impugnare l’arma e rispondere alla chiamata della patria. La guerra apre i suoi occhi ma soprattutto l’animo. Le peripezie, il dolore per le morti, lo strazio della prigionia, lo stato di salute cagionevole, rafforzano i suoi ideali e cambiano la sua visione dell’amore e della vita.
L’amore diventa l’àncora di salvezza nell’oceano sterminato della morte, il porto sicuro dove rifugiarsi con la mente nei momenti di smarrimento. Il dolce pensiero della cara famiglia culla il corpo stanco di Giovacchino ed ogni nuovo giorno, al sorgere dell’alba gli dà la forza di continuare a lottare per la sopravvivenza e sperare in un futuro migliore. L’autore parla in prima persona con se stesso e con il lettore per trasmettergli la saggezza acquisita con tanto strazio e dolore, non mancano riflessioni storiche, politiche e filosofiche che Giovacchino offre con il cuore. Giunto alla soglia di 86anni, l’autore compie un doveroso bilancio della propria vita, vissuta intensamente. La memoria è rivolta sempre alla sua fanciullezza, agli amori passionali, ed eccitanti da trasformare in poesia i ricordi più segreti. Forse sarà proprio l’intensità della giovinezza che rende la vecchiaia così dura da affrontare. La malinconia delle ultime pagine rimanda a letture di leopardiana memoria. Malgrado il forte senso di abbandono, la malinconia, il dolore fisico dovuto alla vecchiaia, Giovacchino non si arrende, crede nella forza della vita che ogni giorno è capace di realizzare nuovi miracoli come l’amore. Non mi resta che augurare al lettore buona lettura, lasciandosi inebriare dalle sublimi descrizioni dell’amore, magari immedesimandosi in quel ragazzino-uomo così curioso.
La raccomandazione è di leggere con attenzioni le profonde confessioni di Giovacchino e di interiorizzare i suoi consigli dettati dall’orrore della guerra: il fine dell’uomo è costruire ogni santo giorno non solo la propria vita, ma anche quella degli altri, in nome della solidarietà che contraddistingue il popolo italiano.
Carmen Scarano
i topoi delle figure dell’infanzia
GIOVACCHINO MARIMPIETRI
SOGNO D’AMORE
TORMENTO ED ESTASI
DI UNA ETERNA ILLUSIONE
EDITRICE TOTEM
Analisi critica di
Alessandro Falcone
“Sogno d’amore”, memorie ed opera prima di Giovacchino Marimpetri, è la cronaca, come suggerisce il titolo, dei “tormenti” e della “estasi” vissuti dallo scrittore negli anni della scoperta dell’amore (il sogno, l’eterna illusione) e del passaggio all’età adulta.
L’opera si inscrive nel solco della memorialistica dell’età avanzata, in cui uno sguardo nostalgico e decadente consente di guardare ai tempi della fanciullezza con un occhio sentimentale, misto di dolcezza e passione.
Il racconto si apre nel 1927 a Cosenza e termina, quasi simbolicamente, nel 1945, alla Liberazione. Dopo una breve descrizione del protagonista bambino, ovvero innocente ed all’oscuro del sesso, questa scoperta fa da motore allo sviluppo della narrazione.
Nel tempo, le compagne femminili faranno da contrappunto alla crescita del protagonista, per cui ogni donna sarà una “stazione”: dai primi, fisici tormentati e fuggevoli amori, vissuti in maniera quasi inconsapevole, si passa ad infatuazioni più serie, fino a terminare con un amore adulto di cui non si conosce la conclusione.
Parallele alle vicende sentimentali, scorrono quelle familiari di Giovacchino Marimpietri: la famiglia si sposta da Cosenza a Sondrio e, durante la guerra, Roma, Firenze, la Sardegna e la Sicilia. In questo modo i “luoghi” fanno da contraltare alle “donne”, ricoprendo anch’essi la funzione di stazioni di un percorso di maturazione.
Momento finale, ed al tempo stesso di rottura, di questo processo si ha quando il protagonista, ormai adulto e maturo, sereno e desideroso di sposarsi, viene coinvolto nella bolgia post-Liberazione: la liberazione fisica del protagonista, e la caduta definitiva del fascismo che ne accompagna la fanciullezza, segna anche la fine del racconto.
Protagonista assoluto, anche se mai nominato, è il narratore; i familiari (il padre, la madre e le tre sorelle Angiola, Luisa e Lidia) lo accompagnano per gran parte della narrazione che, come detto, si svolge nel periodo della giovinezza, per lunghi tratti quindi trascorsa in famiglia, e ne influenzano i cambiamenti (soprattutto i trasferimenti del padre che lo costringono al cambio di amicizie e compagnie). Insieme a questi, un ruolo di rilievo è dato alla Zia Ninetta, personaggio decadente, dotata di tutti i topoi delle figure dell’infanzia (dolce, comprensiva, premurosa e sempre in aiuto) tanto da uscire di scena nel momento di passaggio all’età adulta.
Nella prima parte del testo le compagne (Mimma, la procace Maria, Lucia e la platonica Lisetta) e le avventure sessuali vissute con loro, scandiscono il ritmo della narrazione. Nella seconda parte, il protagonista si affranca da questa sua “mania” diventando adulto: le donne si diradano, si fanno più mature (l’attempata signora Maria e la famelica Diana) e gli avvenimenti esterni entrano con maggior insistenza nella narrazione, fino a confondervisi; al fanciullesco calmo fluire dei giorni si sostituisce una più attenta osservazione dei fatti e delle vicende che influenzano la vita (Iolanda ed il raggiungimento della maturità). La caduta del fascismo e la dolorosa fine del conflitto, con le conseguenze che Giovacchino Marimpietri vive sulla propria pelle chiudono il libro.
I familiari, dopo la breve introduzione iniziale, vengono caratterizzati uno ad uno, inserendo dei passi dedicati a ciascuno nei primi capitoli.
Gli altri protagonisti (compagne, amici, ecc) vengono invece descritti subito per poter meglio entrare nel racconto: ad una descrizione fisica fa quasi sempre seguito una breve descrizione caratteriale, utile ad esplicitare i pensieri del narratore sul soggetto.
Alle figure positive viene sempre riservato un “ricordo” finale, come a voler comunicare il moto d’affetto che ancora li lega al narratore.
In vari casi vengono presentati dei personaggi “tecnici”, ovvero degli artigiani che, con la loro fredda tecnica, affascinavano il protagonista ma la cui descrizione restano, però, sempre ad un livello tecnico, freddo e superficiale.
Deus ex machina della narrazione è comunque l’avvicinarsi e la scoperta dell’universo femminile, al quale vengono riservate le descrizioni più profonde, sentite ed appassionanti.
A nessuno, se non per brevi accenni, viene riservato un ruolo di antagonista o oppositore della narrazione, se non al fato, ovvero alla guerra ed alle sofferenze patite negli ultimi mesi del conflitto.
La narrazione prosegue in maniera pressoché lineare; talvolta il flusso di ricordi porta a brevi flash back, quando ricordato ne porta alla memoria un altro, come ad esempio il ricordo di un fratello morto anni prima dei fatti narrati viene legato all’angoscia per la malattia della madre.
La quasi totalità dei fatti viene presentata attraverso la forma narrata e sono pochissimi gli scambi diretti, sempre riservati al massimo ad una frase, quasi sempre con funzione di accentuare un racconto (“ti prego mimma”, etc, etc). Il dialogo in forma diretta non viene mai utilizzato, ma sempre riportato dal narratore-protagonista.
Tutti i capitoli, ad eccezione del VI, VII e X, sono concatenati tra loro con il semplice ma utile espediente di mettere nella chiusa di uno il prologo al fatto che apre il successivo.
Al di là di questo, però, i capitoli non possiedono una struttura fissa ma seguono il flusso dei ricordi di Giovacchino Marimpietri.
Subito dopo un prologo di tipo descrittivo-evocativo, l’azione viene subito portata al tempo della narrazione: siamo nel 1927, ci viene presentata la famiglia, il luogo in cui si svolge la narrazione e subito la prima conoscenza col sesso ad opera di una amica.
Nel finale ritroviamo il protagonista oggi, preso nella riflessione su quanto narrato, condita da un melanconico sguardo sul presente e da una morale tipica dell’età avanzata.
Lo spazio (i luoghi narrati) fa da contraltare alle vicende: ogni cambio di città o di casa presuppone un passaggio di vita, molto più della scuola, luogo principe di molte memorie di recente pubblicazione. Ai luoghi però non viene mai assegnato un genius loci ma semplicemente una funzione di contenitore dell’azione o di causa (in realtà non vera) di questa, per cui ogni spostamento comporta il cambio di compagnie.
I luoghi vengono però descritti nei particolari, come se ognuno contenesse in sé i ricordi e fosse in grado col portarli alla memoria di far partire quel processo evocativo proprio di uno scritto autobiografico.
Larghissimo spazio viene dato alle descrizioni: lunghe, particolareggiate e, alle volte, un po’ pedisseque e ridondanti, fatte di periodi molto lunghi. Poco spazio viene lasciato, invece, alla caratterizzazione psicologica dei co-protagonisti, tranne forse che per la zia, le amiche e la sorella Lidia.
Ad una descrizione particolareggiata degli ambienti o dei personaggi fa sempre seguito il racconto di un episodio, come se l’atto descrivere fosse il modo migliore di riportare alla mente i ricordi.
Un maggior trasporto è riservato a quei fatti o personaggi capaci di accalorare il protagonista. Col passare della narrazione alle descrizioni si uniscono delle considerazioni di tipo morale-personale come a sottolineare la presa di coscienza del narratore.
Il linguaggio di queste lunghe descrizioni, sempre particolareggiato e vario, evocativo ed al tempo stesso tecnico, fatto di incisi, parentesi e particolari minuti, alle volte fa trapelare il particolare gusto della memoria in Giovacchino Marimpietri. Altre volte si assiste a delle cadute di stile, con l’utilizzo di parole virgolettate, espressioni oggettivanti che inserite in una esposizione ricercata alle volte ottengono un effetto di straniamento.
“Sogno d’amore” è, in sostanza, un piacevole e scorrevole esempio di memorie, condite da una tocco di trasporto per le gioie degli amori adolescenziali ed uno sguardo malinconico da un’età che sembra costringere all’abbandono di certe passioni.
Alessandro Falcone
GIOVACCHINO MARIMPIETRI
SOGNO D’AMORE
TORMENTO ED ESTASI
DI UNA ETERNA ILLUSIONE
EDITRICE TOTEM
Analisi critica di
Ilaria Bigonzi
Il genere autobiografico è l’espressione in prosa del racconto della propria vita in un’ottica retrospettiva, che fornisce un’immagine completa ed emblematica di sé, e ripercorre attraverso la narrazione, momenti, episodi, date che fanno capo a scelte soggettive frammentarie, lasciando al lettore un senso di incompiutezza. Nel ‘900 questa forma letteraria tende ad omogeneizzarsi con la forma romanzesca, dando origine al romanzo autobiografico che trova i suoi maggiori contributi nel “Dedalus” di James Joyce, in “Alla ricerca del tempo perduto” di Marcel Proust, nel “L’uomo senza qualità” di Robert Musil o ancora in “Memorie d’una ragazza per bene” di Simone de Beauvoir”; questi testi risvegliano l’interesse per l’autobiografia intesa come genere letterario correlato all’affermarsi di un nuovo tipo di curiosità per la vita individuale. Nell’autobiografia di Marimpietri, a cominciare dal titolo, il lettore viene invitato ad aderire alla dimensione onirica dell’amore, e ad accondiscendere alla dilatazione del tempo esterno sul tempo interiore, quello del ricordo; pian piano viene poi condotto dalla ricchezza dell’aggettivazione sulla scena d’inizio, girata nell’ultima parte della giornata, nell’autunno dei tempi venuti e maturi dell’autore, il tempo della memoria, che enfatizza gli ardori dell’iniziazione amorosa, e veglia la sofferenza di esperienze incancellabili. Come promozione alla verità della storia che va raccontando, l’autore sposa il racconto cronologico, ed opera due spaccature: la prima di ordine tematico, l’altra riguardante la distribuzione del tempo, alquanto asimmetrica. Immaginando di tracciare il corso della vita in un segmento circolare, potremmo tranquil-lamente collocare l’autore in contatto con i due estremi: sostando nel punto più lontano, nella ciclicità dell’esperienza umana, riesce a scorgere e precisare il periodo dell’infanzia, sotto una lente d’ingrandimento che ne prolunga la durata, e si concentra sugli aspetti congeniali che per definizione tale periodo dovrebbe portare tra le braccia. Il dettaglio espressivo in riferimento alla famiglia d’origine, segue i dettami di un’epoca di salvaguardia dei valori patriarcali, con la madre che si prende cura dei figli, ed un padre lavoratore al quale è tacitamente permesso di “curarsi” con l’abuso alcolico, una religione in cui l’atto di fede è vissuto come momento d’incontro e dove la bellezza indicibile è sempre messa a paragone con quella della Madonna, ma è anche un’epoca, che a battiti leggeri, prova a proiettarsi nel mondo che sta cambiando, un mondo dove le periferie sono in via d’espansione, e dove il presente è rivelato dai mezzi di comunicazione. Il sogno d’amore comincia presto, quando appunto l’amore è solo sogno e si manifesta con quell’ilarità propria della pubertà, dove anche l’attrazione fisica è gioco indomabile, e capriccioso turbamento. A testimonianza dell’amore come sogno, vengono utilizzati dall’autore parallelismi descrittivi per presentare le donne, tutte dalle sembianze angeliche, trasfigurate dal candore della pelle e dalla curvatura delle ciglia nere, quasi a marcare una continua lotta tra l’evanescenza del sogno, e l’evidenza della realtà del genere femminile, in grado di procurargli quel piacere dei sensi che porta lontano. L’indice narrativo di un tempo distante è “il gelataio”, in grado di evocare un senso di vero desiderio e appagamento. Ma per natura la vita dell’uomo, per il solo fatto di essere vita, non può prescindere dal racconto della sofferenza con altrettanta intensità, sofferenza intesa come metabolizzazione del dolore, e inevitabilmente colloca sotto una nuova luce l’infanzia, questa volta vissuta come principio d’età adulta.
I racconti dei diversi luoghi d’Italia visti dagli occhi dell’autore, concentrano la divisione tra Nord e Sud con la specificazione del paesaggio naturale: la natura metafora della distanza esistenziale e non solo territoriale. Divisioni anche all’interno della corrente religiosa, che se da un lato rappresenta una speranza verso il mondo che sta cambiando, dall’altra porta lo sfregio del potere terreno delle categorie ecclesiastiche. Se il tentativo di mettere piede nel mondo degli adulti attraverso il compiacimento dell’istinto sessuale resta comunque ancorato al sapore del sogno, quello crudo della patria non ammette l’incoscienza benevola dell’infanzia, ma il disincanto dell’età adulta anche se ancora precoce. Ne è testimonianza l’esperienza personale che ad un certo punto si chiude, per allargare lo spazio d’azione di un messaggio proiettato a tutti i popoli, per il rispetto dei valori umani. Ad attutire tali intuizioni si alternano incessanti passioni costellate da emozioni che fanno perdere i sensi, con un continuo elogio alla forza della donna e al potere del bello, sia esso rinchiuso nella femminilità di un corpo, o nello spazio aperto dell’arte. Il fermo immagine del tempo avviene con la descrizione del paesaggio, compagno di vita e affronto all’inesorabile mobilità del tempo esterno. Con lo scorrere del racconto, anche il ricordo del padre, sembra assumere per l’autore un nuovo aspetto, ingentilito dall’amore per la musica, tra le altre cose anche indicatore dello status sociale della famiglia di provenienza.
L’ultima parte del ricordo risulta compressa nelle dimensioni, ma carica di consapevolezze emotive, narrate con linearità ed accettabili in quanto contrappesate dalla disinvoltura adoperata per esaltare l’esperienza del sogno d’amore. Si presenta nella vita dell’autore la pioggia acida della guerra, che non ci si rende conto di che cosa sia fino alla rottura del sigillo nell’archivio della memoria, e si capisce di essere sopravvissuti alla guerra per spirito di conservazione, e che non esiste una guerra giusta contro una guerra sbagliata. Quello che resta è la memoria, come esempio di un patrimonio d’esperienza, per impedire che si ripeta. Il passato come tempo dell’infanzia viene connotato diversamente rispetto al presente che coincide con il tempo della memoria, capace di cogliere le trasformazioni apportate su uomini e cose, e l’essere sta a significare l’essere nel mondo, colto in modo cronologico.
Ilaria Bigonzi
nel nobile solco di questa tradizione
GIOVACCHINO MARIMPIETRI
SOGNO D’AMORE
TORMENTO ED ESTASI
DI UNA ETERNA ILLUSIONE
EDITRICE TOTEM
Analisi critica
di
Gianni Bianchi
Il manoscritto narra le vicende succedutesi nella vita del giovane autore dalla prima infanzia, poco oltre la metà degli anni ’20, sino alla fine della seconda guerra mondiale. L’autore pone l’accento in maniera particolare sulla propria educazione sentimentale; del fanciullo prima, del ragazzo, e infine dell’uomo. Sullo sfondo la Calabria degli anni venti, Sondrio, Roma, Firenze. La scuola, gli amici, la famiglia, la guerra. Questo in breve il contenuto del libro.
Nel corso del novecento la tradizione autobiografica tende ad ibridarsi con la forma romanzesca, e l’esperienza individuale pare dissolversi nella fiction, dando così origine a quello che si suole definire romanzo autobiografico. Grandi testi del ventesimo secolo all’incrocio tra autobiografia e romanzo sono Alla ricerca del tempo perduto di Proust, Dedalus di Joyce, L’uomo senza qualità di Musil, per non parlare di Svevo.
Nel corso del diciannovesimo secolo esistono esempi di questo tipo come L’educazione sentimentale di Flaubert.
Giovacchino Marimpietri non fa eccezione e si inserisce nel nobile solco di questa tradizione, per certi versi però – e mi si consenta il confronto – è più vicino a Flaubert, o addirittura a Rousseau che fonda la propria opera sulla centralità dell’io, sulla ricostruzione del passato individuale, sul recupero dell’infanzia e sul tema della memoria, che a Svevo. Il quale ne La coscienza di Zeno, ad esempio, non propone un susseguirsi cronologico lineare di avvenimenti, ma disegna l’esistenza del suo protagonista per grandi tematiche a questi care: emblematico il famoso primo capitolo sul fumo.
Lo stile di Giovacchino Marimpietri è decisamente elegante, oserei dire soave, nei momenti di maggior trasporto, lirico. In special modo nelle descrizioni dei suoi incontri amorosi. Tuttavia pur essendo sostan-zialmente una piacevole lettura direi che vi si riscontra talvolta una sorta di condensazione stilistica che rende il racconto a tratti prevedibile. L’autore scrive alcune cose non per dovere di cronaca ma perché sente ciò che sta raccontando: in sostanza la sua è un’analisi che tiene conto dell’importanza fondamentale di un dialogo tra passato e presente, tra esperienza vissuta e realtà (artistica, politica ed altra) del momento della stesura.
Ciò va a ripercuotersi anche nella ricostruzione dei personaggi. Nel libro ci sono molte figure interessanti che, volutamente, non sono approfondite e questo potrebbe rendere il racconto, se pur interessante, meno sapido al di là delle intenzioni dell’autore.
Ad esempio, mi è sembrato molto interessante il rapporto tra lui, il protagonista, e la sorella minore. Personaggio, quest’ultima, dal carattere difficile che è riuscito a incuriosirmi molto. Se possibile, a mio modesto avviso, tale rapporto sarebbe stato degno di essere approfondito. Vale lo stesso discorso per il padre del protagonista, amante della musica e del vino; bevitore, ma brav’uomo mi sembra di capire. Stralci di ordinarietà narrata ripercorrendo temi che, nonostante l’apparente banalità, si rivelano epifanie quasi catartiche per coloro che le vivono.
Quello che si coglie scorrendo le pagine di questo bel libro di memorie di Giovacchino Marimpietri è innanzitutto un sapore di cose perdute. Egli descrive cose, atmosfere, vive appena ieri ma che a noi immersi nel caos della società dell’informazione sembrano ormai appartenere ad un passato lontano.
Talvolta l’autore conclude il resoconto di uno specifico evento con riflessioni personali riguardanti sia i rapporti umani, che gli eventi storici interessanti di quegli anni (’20, ’30, ’40) per dare appunto più ampio respiro storico al racconto; cosa che lo rende ancor più affascinante, ed esalta anche le parti in cui si narra invece il percorso di vita privato del protagonista.
Le sensazioni che trasmette la lettura di questo libro sono svariate e indefinibili. E sono perfettamente intonate con la caratterizzazione del protagonista, perso in un apparentemente irreversibile limbo di godimento sensuale, partecipazione casuale ad eventi che lo travolgono, in una esemplare esperienza di vita che traduce la propria indefinibilità.
Concludo affermando che il libro è ben scritto e scorrevole nella lettura. Possiede un gusto retrò che affascina e incuriosisce. Racconta avvenimenti di cui, nonostante la grande distanza di tempo intercorso, possiede inevitabilmente una percezione più ampia, perché li può inquadrare in un contesto più generale e più noto, e confrontarli con altre forme di memoria.
Spero vivamente che questa mia analisi, per quanto breve, e probabilmente poco ortodossa, possa comunque essere utile.
Gianni Bianchi
Vita e Storia camminano assieme fino a incontrarsi
GIOVACCHINO MARIMPIETRI
SOGNO D’AMORE
TORMENTO ED ESTASI
DI UNA ETERNA ILLUSIONE
EDITRICE TOTEM
ANALISI CRITICA DI
Attilio Ievolella
Vita e Storia camminano assieme
fino a incontrarsi
Esiste la vita ed esiste la Storia. La vita, fatta di episodi significativi, importanti, capaci di lasciare tracce indelebili in un’anima. La Storia, fatta di giorni, di mesi, di anni, destinati a restare impressi nella memoria per un’intera esistenza, nei libri per sempre. Esiste, però, una differenza sottile, sottilissima, tra vita e Storia, che pure meritano entrambe di essere raccontate, che pure si mescolano ogni giorno, da quando l’uomo è nato: la consapevolezza della vita, soprattutto della propria vita, è diretta, costante, quotidiana, anche se destinata a mutare – o, forse, è meglio dire a maturare – con l’inesorabile trascorrere degli anni; in Giovacchino Marimpietri la consapevolezza della Storia è, spesso, molto spesso, un ‘dono’ del tempo, caratterizzato da una visione e da una prospettiva diverse che danno luce nuova a eventi vissuti, consentendo, talvolta, solo talvolta, di comprenderne appieno i significati.
Ancora più complesso è riuscire a ‘gestire’ vita e Storia assieme. Certo non nell’ottica di un libro autobiografico, di una ‘memoria’ scritta, ma, più semplicemente, nella propria coscienza, nel proprio cuore, nei propri sentimenti. Anche alla luce di questa considerazione, è più semplice comprendere come la memorialistica, intesa come genere letterario, presenti sempre sfaccettature diverse, sfaccettature legate, da un lato, alla situazione storica, agli anni e agli eventi che ne formano talora il quadro e talora la cornice, e, dall’altro, alla personalità dell’autore, alle sue ragioni, ai suoi sentimenti, alla sua scelta di raccontare un ‘pezzo di vita’ o un ‘pezzo di Storia’. E, bisogna aggiungere, questa doppia radice, elemento importantissimo della memorialistica in letteratura, si accentua ulteriormente lungo tutto il ‘900. Perché ci si trova di fronte a un aumento della ‘velocità’ del tempo, a un susseguirsi rapido – molto più rapido rispetto al passato – di eventi storici, a una trasformazione della realtà sociale che spinge sì a raccontare quei fenomeni, ma, allo stesso tempo, a riflettere sulla vita, sul valore di donne e uomini, sulla precarietà dell’esistenza.
E’ forse un caso che, scorrendo tutto il ‘900, siano la seconda guerra mondiale, i campi di concentramento, le deportazioni, i bombar-damenti sulle città, le stragi di milioni di persone innocenti a far rabbrividire ma anche a richiamare a un impegno concreto? “Per non dimenticare”, scrive Giovacchino Marimpietri. Per non dimenticare quelle atrocità, per non dimenticare gli abissi che la razza umana può incredibilmente toccare, e, allo stesso tempo, per non dimenticare il valore della quotidianità, dei propri genitori, dei propri fratelli, dei propri amori, anche delle piccole cose della propria vita.
Anche così si spiega l’intimismo di Sogno d’amore, anche così si spiega l’utilizzo delle pagine scritte in prosa e dei versi per raccontare a volte sé stessi, a volte la paura, per riflettere, a voce alta, sulla realtà, soprattutto quella semplice della vita, delle persone.
Questa complessità pare emergere, in maniera tutta originale, anche dalle pagine del libro di Marimpietri. In maniera originale perché, mai come in questo caso, vita e Storia camminano assieme fino a incontrarsi.
Ma la Storia, in questo caso – pur raccontando di momenti drammatici e, allo stesso tempo, fondamentali, non solo per l’Italia, non solo per l’Europa, ma per il mondo intero –, è solo un passaggio, solo una tappa nella vita di un ragazzo che diventa uomo. E che, oggi, ripercorre il cammino compiuto.
E proprio queste tappe – tutte percorse dal filo rosso della passionalità, vissuta in maniera intensa, come dovrebbe essere sempre – rappresentano il senso più profondo del racconto. Sia chiaro, tutte queste tappe, cioè i singoli momenti di una vita, messe assieme assumono un significato profondo, non solo per chi le ha vissute e le racconta, ma anche per chi, leggendo, si ritrova, con l’immaginazione, scorrendo le pagine, a vivere nel corpo di Giovacchino Marimpietri, a guardare cogli occhi del protagonista, a pensare cogli occhi del protagonista, a crescere – sì, a crescere – nei panni di un bambino.
Tutto questo, però, non rende il racconto intimista, chiuso, ‘buio’. Al contrario, pare di ritrovarsi in una camera fatta completamente di vetro, che viene invasa dalla luce nei momenti belli e che viene scossa dalla pioggia battente nei momenti bui. E la luce attraversa praticamente tutte le pagine del racconto, seppure con intensità diverse.
E quella stanza, fatta di vetro, si apre, completamente. Perché questa pare essere la peculiarità di ogni singola riga: aprire alla vita, alle sensazioni, all’amore, alla gioia, soprattutto, e alla tristezza. Così, il cammino che compie il bambino divenendo uomo, scoprendo pian piano tutte le ‘stranezze’ della vita – cominciando da quella più intensa, più avvolgente, la passionalità –, diventa il cammino che ogni persona compie nella propria vita, il cammino che miliardi di persone hanno compiuto e che miliardi di persone compiranno. Ecco perché, pagina dopo pagina, è facile ritrovarsi in determinate situazioni – non in tutte, sarebbe stupido pensarlo –, ritrovarsi in determinati pensieri, ritrovarsi a percorrere, nella propria realtà, una strada che conduce lontano da quello che è il proprio mondo.
Così, è facile ritrovarsi assorto, leggendo una pagina, assorto a pensare alla propria vita, alla propria famiglia, ai propri amici.
Anche questo aiuta a rendere ancora più ‘aperto’ il racconto di Giovacchino Marimpietri, allontanando, come detto prima, ogni ‘visione intimista’, meglio ogni visione eccessivamente intimista, lasciando spazio alla vita vissuta.
In questo contesto, le riflessioni personali dell’autore rappresentano piccole pause del racconto, quasi un voler riprendere fiato tra una tappa e l’altra del cammino. Almeno per il lettore, che, però, non può fare a meno di ‘condividere’ i pensieri di un uomo che rivede se stesso e che, in quell’istante, sembra quasi riflettere a voce alta.
Quanto quelle riflessioni ‘aiutino’ comples-sivamente il libro, è difficile dire, soprattutto alcune, però, rappresentano appunti preziosi che ci si ritrova a mettere da parte – se manca ancora l’esperienza –, oppure a sentire propri.
Tuttavia, rileggendo, non sono le singole immagini, i singoli episodi, oppure le riflessioni a voce alta dell’autore, a impreziosire le pagine. E’, in maniera più semplice, ma molto, molto più preziosa, il senso della vita che ne emerge, in un contesto sociale lontanissimo dai nostri giorni, a coinvolgere.
Proprio il senso della vita rappresenta il patrimonio dell’autore e il dono fatto ai lettori.
Attilio Ievolella
una memoria assolutamente intatta non sbiadita dagli anni
GIOVACCHINO MARIMPIETRI
SOGNO D’AMORE
TORMENTO ED ESTASI
DI UNA ETERNA ILLUSIONE
EDITRICE TOTEM
Analisi critica
di
Giulia Pace
una memoria assolutamente intatta
non sbiadita dagli anni
L’autore ripercorre la prima parte della propria esistenza e il quadro risultante lascia trasparire una forte e sincera nostalgia, un grande attaccamento alla vita stessa e una notevole lucidità analitica, anche riguardo ad episodi estremamente lontani nel tempo.
Non ci sono dubbi su quali siano i temi più significativi per il narratore, prova ne è anche il titolo stesso: i rapporti con il mondo femminile che fin dalla tenera età assumono i toni di una forte carica sensuale, ma anche gli eventi della Grande Guerra che, nella seconda parte dell’opera, entrano prepotentemente nella narrazione.
Con grande chiarezza di immagini ci vengono raccontati i primi approcci amorosi che preludono a un erotismo sempre più dominante nella vita di Giovacchino, come una forza a cui il giovane non può, e non vuole, resistere. Tanto vivide sono le scene amorose, tanto più forte è la nostalgia che si intuisce nel narratore, il quale in diverse occasioni poi ribadisce apertamente l’affezione e l’attaccamento a un meraviglioso passato, a lontane gioie smarrite nel tempo. E la seconda parte del titolo contiene poi un’altra parola chiave, “illusione”, nelle memorie di Giovacchino, parola che racchiude il senso di perdita e di vacuità, di effimero che tutto il passato evoca e che, assieme alla parola “sogno”, relega l’esperienza del vissuto a un mondo di non-realtà.
Dunque, il titolo da un lato allude all’esperienza sentimentale travolgente, dall’altro si pone in contrasto con le realtà così concretamente descritte sia dei rapporti amorosi, sia delle vicende familiari, scolastiche e militari.
I minuziosi particolari di cui vengono arricchite le descrizioni testimoniano una memoria assolutamente intatta, non sbiadita dagli anni. Qualche nome si perde forse, ma non un volto, non una sfumatura e non uno sguardo di ciascuna delle fanciulle amate, a cominciare dalla prima, archetipica amante-bambina foriera delle gioie della vita da venire.
La curiosità, prima infantile e poi adole-scenziale, si palesa per l’erotismo come per le attività più propriamente fanciullesche: il gioco, l’osservazione dei mestieri dei grandi, quei mestieri che popolavano l’Italia di ormai quasi un secolo fa: il fabbro, il falegname, lo stagnino. Questa osservazione dà vita ad alcune pagine molto accurate e precise; attraverso la descri-zione dell’attività dello stagnino il piccolo Giovacchino in modo commovente fa rivivere tutta la dignità del lavoro dell’uomo.
A poco a poco interviene la Storia: le date iniziano ad essere sempre più numerose e i riferimenti agli eventi degli anni Trenta e Quaranta riportano il lettore alla realtà dell’Italia fascista. La vicenda dell’autore non può non scontrarsi violentemente con il dramma della guerra, non sfondo narrativo ma condizione imprescindibile dell’esperienza umana di Giovacchino. Un tono nostalgico accompagna i riferimenti ad alcuni eventi legati al Fascismo e all’esperienza coloniale, ma la nostalgia non è per i fatti e i personaggi in sé, quanto per l’atmosfera che caratterizza quegli anni di vittorie proclamate e di ingenue speranze. In un’occasione il termine “mito” è associato alla figura di Mussolini: non è un giudizio personale dell’autore ma semplicemente la descrizione dell’aura che circonda la figura del Duce prima della sua caduta. Infatti all’ideologia fascista vediamo contrapporsi quella di chi continua a perpetrare morte e distruzione in nome di una presunta giustizia, e in fondo Marimpietri ci dice che tra le due non c’è differenza: sono ugualmente aberranti.
La drammaticità della distruzione bellica si contrappone alla vitalità erotica del prota-gonista: l’anelito alla vita si esprime attraverso le forti passioni che procurano uno smarrimento nei sensi, un obnubilamento della coscienza, un allontanamento dalla realtà, cosa che viene apertamente riconosciuta dal protagonista.
Tutte le vicende divengono spunto e occasione di riflessioni, di giudizi; il narratore spesso si rivolge direttamente al lettore per esprimere considerazioni su fatti e personaggi storici, sulla propria esperienza e sui propri sentimenti. Le riflessioni poi si dilatano a toccare la condizione dell’uomo in generale, sia riguardo all’universo interiore sia riguardo al rapporto con i propri simili. Nei propri giudizi di carattere morale o politico Marimpietri non lascia spazio all’inter-pretazione, nel senso che la chiarezza di espressione è una caratteristica che egli rincorre con perseveranza, anche se talvolta viene sottomessa alla ricerca di uno stile troppo raffinato.
La narrazione osserva un rigore cronologico in cui i riferimenti temporali sono precisi; gli incisi narrativi costituti da aneddoti o flashback sono ben separati rispetto al piano narrativo principale cosicché la struttura narrativa risulta piuttosto lineare. L’autore può dedicare diverse pagine alla descrizione di un incontro amoroso e poi racchiudere in pochi paragrafi eventi quali ad esempio, le esperienze legate alla gioventù fascista o l’anno di studio intenso per superare l’esame di maturità.
I riferimenti storici divengono numerosi soprattutto nella seconda parte dell’opera; l’incalzare degli eventi della Grande Guerra sconvolge anche la vita del narratore che, se talvolta è così assorbito dalle proprie passioni da non accorgersi del pericolo a lui imminente, ad un certo punto viene bruscamente rigettato nella realtà di un’Italia dilaniata dalle bombe. Il vortice degli eventi coinvolge sempre di più Giovacchino che si pone a spettatore indignato e impotente di fronte alle rappresaglie e ai rastrellamenti partigiani. Lo scandalo suscitato lo spinge a riflessioni e giudizi severi sui protagonisti di questa tragica pagina della storia d’Italia ma anche sulle reazioni umane al dolore e alle alterne vicende della vita.
Talvolta si rileva un eccesso di zelo nel riportare date e nomi: la data dell’armistizio viene riportata per esteso due volte nella stessa pagina, come se occorresse ribadirla ancora e ancora, tragico sintagma di catastrofe. Nel raccontare dell’imminente trasloco a Sondrio l’autore spiega dove si trovi la città come a chi non vivesse in Italia; la narrazione allora assume un tono didascalico che contrasta con le divagazioni lirico-sentimentali.
L’esperienza militare e la prigionia occupano un ruolo molto significativo nell’opera; nella seconda parte di essa infatti è a questi due temi, diventati evidentemente dominanti nella vita di Marimpietri, che egli dedica la sua attenzione, le vicende delle ultime pagine saranno anche lo spunto per le riflessioni di un uomo che, ormai al crepuscolo della vita, si volge a considerare quanto intensamente ha vissuto la propria giovinezza. Con la liberazione dalla lunga prigionia l’inizio di una nuova vita è promesso; non conosciamo gli sviluppi della vicenda umana di Marimpietri dal momento che l’autobiografia qui termina: egli ha voluto raccontarci solo gli albori della propria esistenza fino al raggiungimento dell’età adulta, cioè l’epoca in cui l’ardore giovanile si palesa con tutta la sua forza al mondo.
Le persone che popolano il mondo di Giovacchino sono spesso descritte con grande sentimento e con un affetto ancora decisamente vivo, ovviamente, filtrato dagli occhi e dal cuore di Giovacchino. Le donne, in particolare, restano delle creature misteriose, per noi lettori ma, in fondo, anche per chi scrive. I membri della famiglia sono descritti piuttosto sinteticamente e con poche caratteristiche denotative; forse quello che maggiormente si sottrae a tale norma è il padre, che pare acquistare una maggiore consistenza rispetto alle altre figure rappresentate.
E, sebbene siamo in presenza di un testo autobiografico e il narratore ci lasci entrare nel suo universo privato, quello che sappiamo di lui è pure molto poco: ecco dunque che le riflessioni e le considerazioni diventano strumento privilegiato per capire il mondo interiore dell’autore. Senza troppa fatica si evince una grande capacità di sentire e un animo che facilmente si abbandona agli slanci della passione, un grande senso civico e una forte indignazione per i soprusi e la violenza.
Sono poche le parole che ci ricordano la passione per l’architettura: in un paio di punti alcune riflessioni sull’estetica di edifici o l’allusione ai grandi monumenti architettonici di Firenze rimandano il lettore a questo aspetto della vita di Giovacchino che per lo più viene sottaciuto; se il percorso scolastico ci viene raccontato, quello lavorativo (ma anche l’esperienza universitaria) passa sotto silenzio, ad eccezione di qualche parentesi.
La lingua che l’autore predilige è certamente raffinata; talvolta l’eccessiva ricercatezza stilistica dà luogo ad espressioni molto formali, che, in qualche caso, suonano addirittura burocratiche. Il lessico è in genere elevato e si rileva qualche espressione latina.
In particolare, le parti di testo che corrispondono a riflessioni e considerazioni (talvolta anche le semplici descrizioni) risultano caratterizzate da una sintassi articolata e da un ampio uso di aggettivi che condensano il ritmo della prosa.
Quest’uso dell’aggettivo fa intuire la volontà di non lasciare nulla di “ingiudicato”, inespresso; l’autore è estremamente preoccupato di comunicare al lettore tutte le connotazioni possibili degli oggetti rappresentati (non di tutti, ma quelli a lui più cari), come a voler ricreare nel modo più completo possibile la scena, le sensazioni e le impressioni.
Giulia Pace
testimonianza di una forte e profonda riflessione
GIOVACCHINO MARIMPIETRI
SOGNO D’AMORE
TORMENTO ED ESTASI
DI UNA ETERNA ILLUSIONE
EDITRICE TOTEM
Analisi critica
di
Sara Cardinale
testimonianza di una forte
e profonda riflessione
Le vicende narrate, le descrizioni accurate delle avventure amorose e degli ambienti sembrano inserire Sogno d’amore, tormento ed estasi di una eterna illusione nella tradizione del romanzo naturalista, ma l’analisi in prima persona delle vicende della propria esistenza negli anni trenta e quaranta, gli avvenimenti sociali, familiari e di guerra, trasferiscono l’opera nella tradizione della memorialistica novecentesca.
Il dinamismo del ricordare e del narrare richiama, infatti, una ricchissima produzione di testi, una letteratura strettamente autobio-grafica fatta di confessioni liriche, di sensazioni e di stati d’animo.
Si tratta di una letteratura considerata “minore”, particolarmente attenta ai problemi e allo svolgimento interiore dei rapporti umani e contaminata da un forte cerebralismo.
Il romanzo tende, infatti, ad aderire il più possibile al flusso interno dell’io e alla percezione universale del ricordo: Marimpietri racconta la condizione storico-politica che lo circonda e nello stesso tempo analizza se stesso.
Nel romanzo il narratore non ha solo la funzione di eroe, ma anche quella di osservatore e testimone del passato storico. L’opera ha, perciò, un valore storico-documentario in uno spazio decisamente autobiografico; è testi-monianza di una forte e profonda riflessione analitica sulle inquietudini profonde e concrete di una realtà complessa.
La narrazione risulta, perciò, fondersi nel clima e nell’atmosfera corale del periodo storico a cui l’autore fa riferimento.
Vero protagonista dell’opera è l’atmosfera naturale in cui si svolgono gli eventi: l’autore si riconosce nell’universale situazione storica e nella comune condizione che rasserena ogni interiore tumulto.
Nel romanzo si ricorre a un punto di vista psicologico: si racconta il mondo attraverso le memorie dell’infanzia e dell’adolescenza con lo sguardo del protagonista-autore.
In Sogno d’amore un motivo fondamentale è, dunque, la funzione acquisita dalla memoria considerata in rapporto al vissuto individuale.
Si tratta di un racconto che segue un’avventura del cervello, un movimento del ricordo.
La memoria è vista come recupero intermittente del passato, anche se provvisorio.
Gli eventi storici e il fluire della vita potrebbero minacciare i ricordi, ma nonostante le inter-mittenze e la discrezionalità del recupero affidato all’io narrante, il passato sopravvive e rivela la realtà psichica dell’autore.
Significativamente, infatti, la memoria acquista una tematica esistenziale divenendo espressione del presente: la solitudine dell’individuo Marim-pietri nella realtà contemporanea, l’assenza di affetti, la precarietà stessa della vita.
Il ricordo e le riflessioni sul proprio passato rappresentano, però, una terapia e un aiuto alla solitudine della vita presente, sono l’unico modo per permettere al singolo e al nostro autore di costruire e conservare la propria identità e il proprio essere.
Nelle pagine di Marimpietri ritroviamo, perciò, anche tracce di un certo Romanticismo: il gusto della confessione personale, il travaglio di una coscienza che deve affrontare le diverse prove della vita, una condizione non solo personale, ma anche, sottolineiamo ancora, universale.
La solitudine, il fascismo o la guerra, infatti, sono esperienze che coinvolgono non solo il singolo individuo, ma forme di un’umanità più ampia e popolare.
Per di più, la natura memorialistica di Sogno d’amore frantuma gli schemi tradizionali del romanzo in quanto comporta la naturale divaricazione temporale tra l’io narrante e l’io narrato.
Il racconto comincia dall’ottica dell’io narrante che esplora in prima persona con i tempi narrativi al passato il proprio vissuto: i primi amori, le prime esperienze sessuali, la famiglia, la scuola, i giochi, la guerra.
Il narratore è già stato protagonista delle vicende che rivive nel ricordo e affida alle pagine del memoriale.
L’io narrante fa sentire continuamente la sua voce e con la tecnica enunciativa del monologo commenta al tempo presente gli avvenimenti che hanno contribuito a formare il suo essere adulto.
Il tempo della narrazione diviene quindi il tempo interiore della coscienza, un flusso continuo di avvenimenti guidati dalla volontà del narratore.
Il rapporto io narrante e io personaggio costituisce perciò un punto nevralgico nel testo, la distanza tra loro è fondamentale. Questo rapporto può risultare però problematico in quanto il distacco dell’io narrante restituisce valore al giudizio e alla percezione del singolo.
Nel romanzo assistiamo a una selezione della realtà vissuta dal Marimpietri, stabilita, per l’appunto, dalla memoria o meglio dalla coscienza che l’individuo, l’io narrante, ha di sé.
Si tratta di una memoria che potremmo definire “funebre” (il lutto del fratellino), ma anche “sociale” (il fenomeno degli immigrati italiani negli Stati Uniti, l’aborto) e “storica “ (il mondo del fascismo e della guerra con riferimenti alla disfatta di Caporetto e all’eccidio delle Fosse Ardeatine).
Ma ribadiamo che si tratta soprattutto di una memoria “privata” che segue direttamente il corso degli eventi e si concentra in maniera particolare sul passato personale dell’autore divenendo la forma per caratterizzarne la vicenda privata: la vita adolescenziale, le presenze femminili dalla pubertà alla maturità.
Il mondo dell’infanzia e delle prime esperienze, fortemente presente nei testi dell’immaginario novecentesco, ritorna continuamente in Sogno d’amore attraverso i meccanismi psicologici della regressione e quelli ideologici della riconquista dell’ingenuità primordiale.
I sentimenti d’amore e i turbamenti dell’eros, in particolar modo, filtrati anch’essi dalla memoria, sono rappresentati rifiutando le forme più sublimate, sentimentalizzate e spiritualizzate.
La sessualità, in particolare, è descritta nella sua fisicità in maniera realistica, rapida e concreta con il segno di una programmatica sincerità e di un certo candore.
In tal modo l’autore reagisce al modello romantico dell’amore collocandosi nella tradi-zione del primo Novecento, in accordo con una tendenza collettiva.
I primi anni del secolo, arco temporale in cui si svolgono le vicende del romanzo, sono, infatti, anni di reazione ai modelli edulcorati dell’amore, anni di importanti realtà sociali e culturali: la nuova concezione della famiglia e della vita di coppia, l’educazione infantile, la caduta di alcuni tabù sessuali con la legittimazione della sessualità adolescenziale, più volte presente nel romanzo.
L’autore raggiunge, in tal modo, buoni risultati letterari, sviluppando motivi che ricordano anche l’erotismo dannunziano specialmente nella descrizione delle figure femminili.
I personaggi femminili, infatti, sono i più numerosi e i più riusciti del romanzo: lussuriose, eleganti e completamente conqui-state dal protagonista.
In Sogno d’amore la passione amorosa, la manifestazione prepotente del desiderio nelle sue espressioni erotiche e vitalistiche hanno, dunque, un posto predominante.
È forte nell’autore il bisogno di cantare i luoghi, gli oggetti, le circostanze, i pretesti del desiderio visti con uno sguardo pieno d’ardore giovanile, attenuati e filtrati, però, dalla distanza e dal ricordo.
Ma Sogno d’amore è soprattutto un’auto-biografia, uno scorrere incessante di pensieri e sensazioni dell’autore che deve rispettare le condizioni stilistiche proprie del genere.
La preferenza per la prima persona, come abbiamo visto, non è casuale o occasionale.
Il nostro autore subisce, perciò, l’influenza e lo stile di autori “di guerra” quali Martinetti e Soffici.
Il nostro autore esplora con forza lo spazio della coscienza entro forme semplici, con un linguaggio volutamente disadorno, limpido, regolare, colloquiale, talvolta lirico, rispondente all’ideale di una letteratura nazional-popolare, una letteratura comunicativa e comprensibile per tutti gli strati della popolazione.
Il lirismo che talvolta scaturisce nel racconto è il mezzo che permette all’autore di rappresentare il suo passato, una prosa libera dalle notazioni di diario, a volte volutamente frammentaria, interessante per la pagina in sé, per il semplice ricordo che affiora e che diventa immagine presente.
Tali pagine piuttosto fluide e senza troppe distinzioni tra prosa e liricità (il gusto del pastiche) si fissano in perfette strutture linguistiche e ritmiche, sembrano frutto di appunti fuggitivi capaci di evocare immagini allusive e attraenti.
I due linguaggi si scontrano e si mescolano nel romanzo, si presentano entrambi in funzione della rievocazione del tempo passato e lo caratterizzano; sono continuamente accostati senza produrre scontri e tensioni, ma generando a volte combinazioni sentimentali, altre volte combinazioni prosaiche.
L’energia dinamica dell’opera è, dunque, nella scrittura, nel ritmo e nella forza suggestiva delle immagini tali da suscitare emozioni nel lettore.
Sogno d’amore è il punto di arrivo di un percorso culturale e conoscitivo del proprio essere, un romanzo della vecchiaia nel quale i volti delle donne, gli accadimenti familiari e storici sono ancora vivi e intensi nella memoria, il passare del tempo non li cancella e non li fa sparire in una nebbia. È un romanzo animato da una fortissima carica di amore sensuale e da una visione estetizzante e totale della vita.
Sara Cardinale
L’amore è vita, il resto sono fatti
GIOVACCHINO MARIMPIETRI
SOGNO D’AMORE
TORMENTO ED ESTASI
DI UNA ETERNA ILLUSIONE
EDITRICE TOTEM
ANALISI CRITICA
DI
AURETTA STERRANTINO
L’amore è vita, il resto sono fatti
L’autobiografia di G. Marimpietri si colloca in un filone, quello della letteratura memorialistica, che si presenta ben nutrito sin dai primi del ‘900 (con l’antesignano F. Tozzi, Bestie, 1917). Esso si sviluppa con crescente generosità di produzione nel corso del secolo – possiamo ricordare Corrado Alvaro, Quasi una vita, diario vincitore del premio Strega nel 1952 in cui ritornano i temi della rievocazione e del ricordo.
L’opera di G. Marimpietri resta però in bilico tra due tipi di produzione letteraria diversi ma affini:
– la produzione memorialistica, in cui si dà sfogo al racconto di memorie personali e che spesso è legato al periodo delle Grandi Guerre, al tema della persecuzione antisemita e della deportazione (P. Levi, Se questo è un uomo, 1947; A. Frank, Diario, 1947) e quindi della Resistenza (G. Salvemini, Memorie di un fuoriuscito, 1960; M. Spinella, Memorie della Resistenza, 1976);
– una narrativa tutta novecentesca che fa della memoria, del ricordo, del ritorno al passato la sua colonna portante (Cesare Pavese).
Questa “contaminazione” porta a delle precise conseguenze nell’uso della lingua e nella scelta dello stile in cui si colgono a tratti lontane eco dantesche, manzoniane, dannunziane.
L’opera si impernia intorno a diversi motivi:
– il nucleo familiare che, per quanto investito da dolorose esperienze (la perdita di due fratellini e l’alcolismo del padre), si mostra compatto ma soggetto a continui sposta-menti per seguire il capofamiglia e a lunghi e dolorosi distacchi. Lo spaccato di vita familiare descritto è non solo reale, vissuto, ma anche realistico, un quadro in cui un lettore medio del Sud Italia di quei tempi può facilmente riconoscersi: famiglia numerosa, affiatata, abitudinaria, legata alle tradizioni culinarie, a fisse regole di condotta, ampliata per la premurosa presenza di un’impeccabile ed affettuo-sissima zia.
– I giochi d’infanzia e gli svaghi, gli studi e le passioni del protagonista.
– Il difficoltoso passaggio dall’infanzia, all’adolescenza, all’età adulta per un uomo.
– Le due guerre che l’autore attraversa entrambe, partecipando addirittura in prima linea alla seconda; la Resistenza, il rifiuto del tradimento “ufficializzato” e subito dopo la beffa: la deportazione da parte degli Americani in un campo di concentramento.
Nel corso della narrazione qua e là c’è spazio dedicato alla descrizione paesistica, e le localizzazioni sono puntuali e precise (Cosenza, Sondrio, Roma, Sardegna, Catania, Firenze). Al contrario i riferimenti temporali. Nel primo capitolo sembrano assenti al punto da far sprofondare la narrazione in una sorta di dimensione a sé stante, la dimensione della fanciullezza, che, seppur lucida, sembra senza tempo; dal secondo capitolo in poi, al contrario, l’autore puntella il racconto di richiami all’età dei personaggi, scandendo il susseguirsi degli anni e delle stagioni attraverso i ritmi scolastici, riferendosi a date storiche ben precise. Queste si infittiscono nell’ultima parte del racconto, quando G. Marimpietri comincia a narrare i fatti della sua vita strettamente legati agli eventi della seconda guerra mondiale che sono occasione per brevissime analisi di episodi storici e critiche anche molto aspre.
Conclusioni dal sapore apodittico chiosano spesso momenti particolari della vita dell’autore.
Non c’è alcuna volontà di introspezione psicologica, soltanto i membri della famiglia hanno caratteri vagamente delineati. Puntuali al contrario sono le descrizioni fisiche, soprattutto delle donne della sua vita (Mimma, Maria, Assuntina, Lucia, Tatiana, Lisetta, Carmelina, Maria Rosaria, Maria, Diana, Iolanda).
Fil rouge, unificante e portante della storia sono non tanto le vicende sentimentali del giovane Giovacchino, quanto il rapporto dello stesso con la sessualità e l’amore e la relazione tra questo e le restanti vicende.
Il contrasto è forte ed emerge chiaramente dalla scelta del titolo: Sogno d’amore, tormento ed estasi di un’eterna illusione.
L’autore conosce le gioie del sesso in tenera età e forse per questo il suo rapporto con le donne non riesce mai ad andare al di là di una forte componente fisica che è contemporaneamente pretesto e motivazione di ogni sua liaison.
I sentimenti più teneri ed affettuosi vengono vissuti in totale scissione dal rapporto fisico (in tale ottica va notato che dei parenti più stretti non c’è descrizione fisica). Anche quando l’autore professa un suo totale e profondo primo vero innamoramento in realtà non lo descrive né lo esplicita attraverso sentimenti ed emozioni ma sempre attraverso sensazioni che gli derivano dall’amplesso, riducendo così l’amore a mero atto sessuale, o piuttosto al piacere da esso derivante, e relegandolo così, al contrario di ciò che si potrebbe concludere, in una dimensione irreale, avulsa dalla vita vera.
Questa forte dicotomia emerge già ad una prima lettura e la sua più forte traccia è l’incolmabile contrasto tra la lingua adottata per narrare i fatti di vita e quella usata per raccontare i fatti d’amore.
La prima rientra in un registro colloquiale, scorrevole, asciutto, più severo nei passi in cui emerge il pensiero dell’autore e la sua critica a fatti storici; la seconda appartiene ad un registro che, se volessimo adoperare una vecchia definizione letteraria potremmo definire “greco-mitologico”.
Stile e lingua sono, nelle parti che indugiano sui “sogni d’amore” e la conseguente “estasi”, altisonanti e volutamente retorici, a tratti marcatamente arcaicizzanti, ricchi di frasi quasi formulari e ricorrenti. L’amore, infatti, è per l’autore solo idealmente sentimento nobile ma praticamente fonte di imperituro piacere. Ancor di più è un antico dio al cui altare tutti si offrono in sacrificio, e l’autore in particolar modo, con simultanei piacere e sofferenza, dando così origine a quel “palpito” che nel suo continuo rinnovarsi permette al mondo di perdurare e non estinguersi.
L’amore è vita, il resto sono fatti.
Il contrasto non appena descritto esprime il dolore di una vita vissuta sì con intensità, così com’è vista da un ragazzino di nove anni che resiste nell’animo dell’autore più che nel ricordo, ma forse incompleta, insoddisfacente per il lucido pensiero finale di un uomo che sente di aver quasi concluso il suo percorso, perché non gli è più dato di fornire impulsi al suddetto palpito.
Ha amato un’ombra per sua stessa ammissione, l’ombra dell’amore che è il sesso, l’illusione di una felicità che è peritura, effimera e, perché no, anche fittizia. Tale illusione o estasi è più o meno indifferente poiché i due termini si connotano qui in un rapporto causa-effetto e non ha potuto rendere completa la vita dell’autore, privandolo, anzi privandosi così egli stesso, della possibilità di amare davvero ed essere riamato, di trovare nell’altro quel conforto che la sapiente vecchiaia vede come unica vera fonte e mezzo per il pieno godimento di una vita felice.
Quello che nella letteratura del secondo Novecento si traduce con un tentativo di ritorno ad una realtà ferma nel ricordo di una dimensione che è ormai passata ed irrecupe-rabile, con il conseguente intrappolamento dell’autore e/o protagonista in un tempo senza tempo, che non è il presente, di cui rifiuta i nuovi valori dai quali spesso si sente addirittura respinto, ma non può neanche essere il passato che in quanto tale è concluso: tutto questo – dicevo – ritorna nell’opera di G. Marimpietri ma con modalità diverse.
Nel raccontare i fatti, i ricordi non appaiono sfumati dalla nebbia di una memoria lontana che è elemento ricorrente di tanta letteratura (da G. De Nerval, Sylvie, 1854, a U. Eco, La misteriosa fiamma della regina Loana, 2004). C’è nell’evolversi del racconto una lucidità che non abbandona mai la narrazione, neanche quando lascia emergere l’estatico ed ingenuo stupore di un ragazzino.
La lucidità non viene meno neanche in quelle parti che abbiamo definito, anzi che si autodefiniscono, in netto contrasto con il resto. Al contrario quei momenti sono come templi sapientemente costruiti ed istoriati nei fregi, in cui l’autore stesso, abile scultore della parola, si rifugia per sfuggire al miasma (contaminazione) del presente. La dovizia di particolari, lo spiccato gusto di indugiare su momenti che spesso si confondono con una dimensione dichiaratamente onirica, sono i chiari segnali della volontà di rivivere le emozioni racchiuse in luoghi, lontani nello spazio e nel tempo, luoghi della memoria. Questi, in quanto tali, permettono all’autore di effettuare salti all’indietro che sono epifanici e dunque mediano l’aspettativa di un presente ben lontano da quelli e probabilmente anche dai desideri dell’autore che, seguendo l’ombra dell’amore e mai l’amore stesso, ha subìto il ricordo delle allettanti promesse e resta immobile tra la malinconia, l’amarezza e la fiera consapevolezza di essere stato.
Auretta Sterrantino
Una voce narrante forte e vigorosa
GIOVACCHINO MARIMPIETRI
SOGNO D’AMORE
TORMENTO ED ESTASI
DI UNA ETERNA ILLUSIONE
EDITRICE TOTEM
Analisi critica di
Patrizio Olivieri
Una voce narrante forte e vigorosa
Una storia di guerra, di padroni e servitori. Un’autobiografia dove tutto è vero e ogni evento è raccontato nel dettaglio di una memoria ancora giovane. Sogno d’amore è questo, il ritrovare nelle pagine di un libro eventi significativi che hanno avuto negli anni una forte e intensa passione come unico filo conduttore.
L’io narrante e l’io personaggio costituiscono dei punti nevralgici: dai rapporti che intrattengono tra di loro e con gli altri elementi della narrazione scaturiscono altrettanti parametri di ricerca. Nel caso di queste memorie in particolare, ma anche nei diari, la distanza tra io narrante e io personaggio è fondamentale.
Ecco il messaggio inequivocabile contenuto nello scritto di Marimpietri: i nostri genitori, i nostri fratelli, gli amici e le amanti di allora sono i soli testimoni di quello che siamo stati, e che ora non siamo più.
L’autore conosce presto l’amore, e tra le descrizioni delle sue muse e le vicende di vita quotidiana comuni a qualsiasi ragazzo o appartenenti solo alla sua particolare preadolescenza nasconde un messaggio più profondo. L’importanza del non essere soli, del poter contare su di una spalla amica in momenti che il tempo non è riuscito a cancellare e la necessità questa volta impellente di due occhi che possano far battere il cuore e distrarre dal contesto quotidiano. Tra le righe emerge ancora più forte il richiamo ad un rigore morale che la nostra società non potrà mai raggiungere e che allo stesso tempo insegue costantemente, grazie all’impegno di chi, alla fine degli anni venti combatteva contro le difficoltà portate dalla crisi economica, negli anni trenta contro l’imporsi di meccanismi socio-politici inevitabili tanto quanto deleteri e nel successivo decennio contro una guerra percepita non solo come ingiusta ma anche come profondamente inutile. Giovacchino Marimpietri è apparentemente rimasto solo con dei ricordi. Nelle pagine con lui rivivono però ogni giorno la sorella Lidia e il suo melodioso canto, il papà col vizio della bottiglia ma innocuo e dal cuore d’oro, la mamma premurosa sempre presente e affiancata da un’infaticabile zia. Gli insegnanti incontrati lungo il cammino, figure fondamentali che segneranno la vita professionale dell’autore. E le donne. Sempre presenti al suo fianco, ad ogni età e nelle situazioni più estreme. Per ricordare che la passione esula dall’amore vero e governa ogni nostra azione. Il mondo femminile resta a tutt’oggi un mistero ancora da scoprire. Nelle pagine i racconti di incontri fugaci sono descritti con la consapevolezza del non poter mai essere completi e soddisfatti veramente. Sarà sempre il contesto esterno e quel velo di mistero che separa uomini e donne ad intervenire in ogni relazione. Anche e soprattutto nelle semplici amicizie. Coinvolgenti e passionali quasi quanto le relazioni sentimentali, ed altrettanto brevi e fugaci. L’autore ammette più di una volta di avere tante amicizie e di essere allo stesso tempo solo. Nonostante la semplicità che i ragazzi hanno nello stabilire rapporti di fiducia e confidenza, anche un piccolo incidente ne determina puntualmente la fragilità. Nel corso del libro motivo di sofferenza sono i frequenti trasferimenti, le contese amorose, le malattie dei familiari. Una voce narrante forte e vigorosa che si spezza con lo spezzarsi del labbro della sorellina più piccola. Sono traumi descritti da sensibilità profonda e rara precisione. La morte del fratellino minore è ancora motivo di lacrime, il rischio di perdere la figura materna in modo prematuro e fulmineo è puro terrore.
Eppure il campo di concentramento resta un’esperienza dalla quale ci si può trarre del bene. Le ferite sono esterne ed interne ma comunque affrontate con coraggio.
La difficoltà di scegliere gli episodi più interessanti tra la massa di aneddoti va messa in rapporto con il carattere frammentario della struttura formale del testo, tipico della memorialistica e di gran parte della prosa narrativa italiana del Novecento.
Ricordando sempre che, per quanto si possa credere e lottare, nella società moderna ci saranno ovunque servitori e serviti, a meno che, come dice l’autore, non si preferisca tornare all’età della pietra e alla sua anarchia.
Patrizio Olivieri
la storia di un uomo la vita vera, reale, vissuta
GIOVACCHINO MARIMPIETRI
SOGNO D’AMORE
TORMENTO ED ESTASI
DI UNA ETERNA ILLUSIONE
EDITRICE TOTEM
ANALISI CRITICA
DI
SARA GRASSI
la storia di un uomo
la vita vera, reale, vissuta
L’autobiografia è una forma letteraria particolare sia per chi scrive che per chi legge. Lo scrittore si trova di fronte un foglio bianco da riempire con i propri ricordi, con le emozioni vissute, i volti incontrati…in poche parole “si mette in piazza”; il lettore, a sua volta, si trova catapultato nella vita di un altro essere umano, come un attore su un palcoscenico di un teatro che si trasforma in una sera in un’altra persona, così il ricevente dell’opera vive ciò che ha vissuto lo scrittore.
Non a caso l’autobiografia è il genere letterario più diffuso perché, a mio avviso, lo scrivere è sia la miglior terapia contro il dolore e la rabbia che il modo più dolce per rivivere un amore o un’emozione che ci ha fatto palpitare il cuore che sarà sempre, nero su bianco, sulle pagine di un libro.
Quando ho finito di leggere Sogno d’amore, senza accorgermene, le lacrime sono iniziate a cadere: era come se fossi entrata nella vita di Giovacchino Marimpietri e avessi preso il suo posto alternandomi, come sulle montagne russe, tra il batticuore amoroso, la nostalgia verso la famiglia o la paura e lo sgomento nei confronti dell’orrore della guerra. Non voglio influenzare il lettore, ma lo ammetto ho pianto!
Ho pianto perché immaginavo lo scrittore intento a ricordare, a fare il bilancio della propria vita, a comparare i pro e i contro, ad emozionarci a sua insaputa.
E’ questa la grandezza dell’autobiografia rispetto ad un romanzo tradizionale di finzione: non ci sono filtri, la vita vera, reale, vissuta si riversa in un mare d’inchiostro sulle carte.
Mi vengono in mente due grandi autobiografie del Novecento, “Se questo è un uomo” di Levi e “Diario” di Anna Frank. Queste due opere ormai fanno parte del nostro bagaglio culturale e a mio avviso rappresentano al meglio il genere dell’ autobiografia sia sotto forma di romanzo che di diario: la storia che fa da cornice alla vita vissuta.
“Storia d’amore-Tormenti ed estasi di un’eterna illusione”ci racconta un’ampia parte della vita di Marimpietri, dalla sua infanzia passata in Calabria, al trasferimento al Nord, passando al suo peregrinare per l’Italia a causa della guerra fino a ritrovarlo, all’età di 86 anni, seduto nel suo salotto di casa.
La sua storia personale si intreccia con quella di altri personaggi, dal vicino di casa, ai compagni di scuola allo stagnino, che magari non hanno avuto un ruolo, diciamo così “fondamentale” nella sua vita, ma che nel racconto diventano tasselli di un mosaico, protagonisti di una “meta-storia” cioè all’interno della vicenda principale vissuta e raccontata, si segue la linea del ricordo, e un personaggio, che sembrava solo marginale, diventa protagonista della sua storia personale.
Lo scrittore con i suoi excursus ci offre così un’ampia carrellata di personaggi per poi, come nella migliore tradizione letteraria sudamericana dove si divaga per pagine e pagine su ogni persona che fa capolino nella storia, ritornare tranquillamente alla vicenda di cui si sta parlando riprendendo senza problemi il filo del racconto come Teseo nel labirinto del Minotauro.
Ovviamente il ruolo centrale lo ricopre la famiglia d’origine: i genitori, le tre sorelle minori e l’amata zia Ninetta che rappresentano il “nido”, il posto sicuro dove rifugiarsi, il luogo dove lo scrittore si sente ancora bambino, nonostante le esperienze avute ce lo dipingono più come un adulto che come un fanciullo.
Fuori di casa, Giovacchino smette i panni di un bambino e indossa quelli di un uomo, mentre all’interno delle quattro mura domestiche è libero di vivere la sua fanciullezza.
Con il passare degli anni, crescendo, il nido viene abbandonato e Marimpietri si divide tra Roma, la Toscana e il Sud Italia, ma il cuore e la mente rimangono rivolte perennemente alla famiglia verso la quale si sente sempre in obbligo di protezione, essendo lui l’unico figlio maschio.
Il leit motiv di tutta la vicenda, che è poi la vita vissuta realmente dallo scrittore, è l’amore con tutti gli aspetti che questo splendido sentimento può assumere: amore verso la famiglia, verso l’amata e l’amante.
Infatti, il sesso entra presto nella vita dello scrittore e diventa parte fondamentale della stessa. Se oggi, un bambino vivesse la sua prima volta a nove anni, per noi e per la nostra morale sarebbe uno scandalo: Marimpietri ha descritto il suo primo approccio sessuale, avvenuto appunto in tenera età, come un vero e proprio atto d’amore senza mai cedere alla volgarità.
Tutte le donne che sono entrate nella sua vita hanno rappresentato per lui una forma d’amore diversa da fanciulla a fanciulla: ognuna è stata amata in un modo differente, come in un caleidoscopio dei sentimenti che cambia colore a seconda della luce del sole.
Le figure femminili sono molte: dalla madre, alle sorelle fino alle amanti che il nostro scrittore ha amato con tutto se stesso e dalle quali ha ricevuto in cambio lo stesso amore.
Nel finale, nell’ultima pagina del romanzo, tutto l’amore che scaturiva dalle pagine scompare e ci troviamo di fronte al presente dello scrittore che si descrive come un uomo ormai anziano, malato sia nel fisico che nell’anima dalla più brutta delle malattie: la solitudine.
Forse, però è stata proprio questa sensazione a spingerlo a scrivere: per attenuare questo senso di oppressione che lo attanaglia, ha voluto condividere con noi lettori la sua vita per ritrovare tra le pieghe della memoria le emozioni di un ricordo, che forse pensava di aver dimenticato, ma che stagliandosi all’improvviso nella memoria ti può regalare, magari solo per un attimo, l’abbandono dello sentirsi smarrito, perso, solo.
Il risultato è un’opera, un’autobiografia che ogni volta verrà letta, ad ogni pagina girata farà sì che Marimpietri sia meno solo, in quanto ha deciso di condividere con noi la sua vita, i suoi ricordi.
I latini dicevano “verba volant, scripta manent” , penso che questo sia il giusto finale a questa mia analisi, sicuramente non molto tecnica, in quanto ho preferito seguire il mio cuore, la scia delle emozioni provate nel leggere la storia di un uomo al quale voglio dire che quello che ha scritto resterà sempre e le sue non saranno mai parole gettate al vento.
Sara Grassi
i sogni ed i ricordi della gioventù trascorsa
GIOVACCHINO MARIMPIETRI
SOGNO D’AMORE
TORMENTO ED ESTASI
DI UNA ETERNA ILLUSIONE
EDITRICE TOTEM
Analisi critica di
Paola Cacace
Memoriali: i sogni ed i ricordi
della gioventù trascorsa
La letteratura è costellata di testi che rientrano nel cosiddetto ambito della “memorialistica”. Memorie, diari e forme intermedie, che ci offrono uno sguardo retrospettivo su una porzione di storia più o meno nota, come in questo libro di Giovacchino Marimpietri – Edizioni Totem – 2007.
L’ancoramento storico, ossia il riferimento a fatti ed avvenimenti del passato, è, infatti, una delle prerogative della memorialistica che, a differenza delle altre forme di narrazione storiche, ci presenta la visione soggettiva dell’autore. Il valore storico delle testimonianze, pertanto, ci è garantito dalla presenza dell’autore, e dal suo io-narrante. Questo però non ci deve far dimenticare che il testo è comunque soggetto alle posizioni ideologiche dell’autore.
Questo, forse, è il carattere problematico della memorialistica: spesso a causa della narrazione in prima persona il lettore s’immedesima con l’autore a tal punto da vivere nell’illusione che l’opera sia una verità assoluta, una vicenda da lui stesso vissuta invece che uno dei tanti possibili sguardi sull’avvenimento.
Il testo di Giovacchino Marimpietri si profila come documento autobiografico: l’autore ha vissuto le vicende che racconta e garantisce in questo modo il carattere veritiero della narrazione. Un ulteriore elemento riguarda le modalità della narrazione: in Sogno d’amore tormento ed estasi di una eterna illusione essa è gestita da un io-narrante autonomo.
Nel Novecento la memorialistica ha assunto una dimensione ancora più personale. Con la creazione della psicanalisi nell’ambito scientifico e del flusso di coscienza nell’ambito letterario, le opere del XX secolo sono permeate dalla completa autonomia dell’io-narrante che spesso si affida consapevolmente o meno, alla memoria involontaria, ossia alla rievocazione non solo dei fatti ma anche di sensazioni, sapori, odori e quanto altro possa rientrare più nella sfera emozionale e spirituale dell’autore che in quella sociale.
Tipico di queste opere è che, nonostante le sofferenze subite, non si percepisce nessun tipo di rancore negli autori ma una sorta di rassegnazione innata.
Ma di memoriali di persone che siano riuscite a trascorrere una vita, per quanto possibile, normale in quel periodo ce ne sono ben poche. È il caso, forse, di Sogno d’amore tormento ed estasi di una eterna illusione di Giovacchino Marimpietri.
Cronologicamente parlando l’opera di Giovacchino Marimpietri potrebbe facilmente porsi tra i memoriali della Seconda Guerra Mondiale, eppure sarebbe alquanto semplicistico catalogarla in questa sezione.
L’architetto ottantaseienne parla di sé a partire dalla sua precoce iniziazione, sarebbe forse più corretto dire educazione, sessuale, tracciando a linee brevi e concise le figure delle sue diverse partners, per soffermarsi più lungamente sulle sue percezioni.
Non prende alla leggera il significato della parola “amore” sognandolo più che vivendolo, come ci suggerisce il titolo della sua autobiografia, a differenza dell’estasi che deriva da queste relazioni sentimentali di cui gode appieno.
Anche sulla famiglia non si spreca in inutili descrizioni dettagliate, cogliendo, però, sinteticamente le caratteristiche ed il ruolo all’interno della cerchia familiare di ognuno dei suoi congiunti. Ne è prova il fatto che, sebbene, particolarmente affezionato alla zia Ninetta, ne fa, infatti, il vero angelo del focolare domestico, tralascia, però di accennare a come questa abbia marito e figli ad attenderla fino a pagina 123, cioè al momento della sua dipartita.
Ad ogni modo i primi capitoli del libro sono incentrati sull’infanzia e l’adolescenza del Marimpietri, il tutto intervallato da stralci della sua visione della vita, del mondo, in certi punti anche del futuro. Il risultato è quello del ragazzino normale: intelligente ma che ha bisogno di maturare per riuscire bene negli studi, curioso oltre ogni dire della vita e dei suoi mestieri, innocente ed al contempo sfrontato nella cui memoria gioie e dolori s’intervalleranno senza una netta distinzione tra loro.
Con la maturità, però, questa distinzione si fa più marcata. Si appassiona, prima di disegno in generale, poi di architettura. La narrazione diventa ad ogni modo più dettagliata ed incominciano ad apparire sempre più date. Ci si avvicina agli avvenimenti della Seconda Guerra Mondiale e l’autore ne sarà coinvolto, essendo ormai giunto all’età per la leva.
Eppure la narrazione non s’incentra sui fatti storici. Vengono sporadicamente annunciati i passaggi di grado dell’autore ma quasi come pretesto per narrare altre sue vicende personali, avvenute in occasione dei suoi spostamenti da un comando all’altro.
La Guerra non sembra poi questo grande affare, e forse realmente non lo era per un giovane di venti anni per il quale i bombardamenti rappresentavano una specie di grattacapo quotidiano e non una tragedia. Almeno è questo che si può capire leggendo nei capitoli che vanno dall’VIII al IX, pagine in cui l’autore non appare angosciato per la situazione bellica bensì per gli spasmi di quello che, forse, è il suo primo vero amore.
Della successiva prigionia, piena di sofferenze evidenti, dà dettagli particolari: ci dice che dura tredici mesi, che il viaggio fu terribile e che si ammalò di gastroduodenite, per poi rimettersi ed incominciare ad avere un trattamento privilegiato nel campo di prigionia, grazie al suo lavoro nell’infermeria.
Lo stile di Giovacchino Marimpietri è accurato, a volte appare addirittura ricercato, ma non rende mai particolarmente difficile la lettura della sua autobiografia. Anzi, a volte si concede anche l’uso di forme non propriamente letterarie, che riescono nell’intento di sdrammatizzare nella giusta maniera la narrazione dei momenti più critici che ha vissuto.
In conclusione, ci troviamo davanti non ad un’autobiografia che tratta della guerra e di un giovane che l’ha vissuta, bensì all’opera di un uomo che è stato giovane, durante la Seconda Guerra Mondiale, come avrebbe potuto esserlo prima o dopo, un ragazzino, un adolescente ed un giovane che ha vissuto al pieno delle sue possibilità, che ha tentato di appagare i suoi desideri, le sue illusioni. L’autore non si è fatto frenare dalle circostanze esterne, la sua gioia di vivere lo ha portato ad essere avido di esperienze, ne risulta che la sua autobiografia non è colma di rimpianti né più malinconica del necessario. Quel che ha voluto fare l’ha fatto quando lo riteneva necessario, ora può bearsi dei suoi ricordi, senza tristezza.
Paola Cacace
Autobiografia
SOGNO D’AMORE, TORMENTO ED ESTASI
DI UNA ETERNA ILLUSIONE
AUTORE: GIOVACCHINO MARIMPIETRI
EDITRICE TOTEM – 2007
Analisi critica
di
Filippo Zagni
Sogno d’amore è un’autobiografia che copre un arco temporale che va dal 1927 al 1945 nella quale l’autore narra gli eventi alternando al racconto forti stacchi nei quali si attualizza la materia narrata, soprattutto nella seconda parte quando il tema della guerra civile italiana è sentito fortemente dall’autore che l’ha vissuta in prima persona da protagonista. Questi stacchi del racconto esaminano la situazione politica, storica e sociale dell’Italia e a volte sono polemici rendendo il racconto più forte, sentito e coinvolgendo maggiormente il lettore. Dal punto di vista letterario gli stacchi servono anche a variare lo scorrere del racconto, a destare sempre alta l’attenzione del lettore e sembra che l’autore-narratore li senta con grande forza, con una vena, a volte, polemica. Il testo permette una lettura scorrevole mantenendo sempre un tono medio, con alcuni momenti in cui si vede la ricerca di parole e periodi ricercati consentendo anche un registro elevato.
Le esperienze amorose del protagonista dell’opera sono il filo conduttore del dipanarsi delle vicende e il punto centrale del racconto; in tutte le città in cui il protagonista si trasferisce c’è almeno un innamoramento, una relazione amorosa: dalla prima, Mimma, proseguendo con Maria, Lucia, Tatiana, Maria Rosaria, Maria, Diana e per finire con Iolanda. Tutti i rapporti amorosi sono sempre interrotti da cambiamenti spesso imposti al protagonista con distacchi forti e importanti. Nella prima parte è il trasloco il motivo prevalente e dominante, causa unica dell’interruzione dei rapporti amorosi anche all’interno della stessa città, come nel caso di Sondrio. Il trasloco o il cambiamento è visto sia come interruzione e rinuncia al proseguimento di un rapporto affettivo-amoroso, ma anche come la possibilità di nuove conoscenze, amicizie e naturalmente nuove storie amorose. Tutte le volte che c’è questo distacco, questo cambiamento in qualche modo obbligato o forzato, sembra che il protagonista soffra più per gli affetti amorosi che si dovranno per forza di cose abbandonare e troncare che per la città, le altre persone, gli amici con cui difficilmente si potranno mantenere i rapporti: non viene espressa la rabbia, la delusione, la malinconia per l’abbandono di una terra cui si è legati come capita spesso di trovare in letteratura, ma sono gli affetti amorosi che devono essere interrotti che causano la maggiore sofferenza. Il distacco non è doloroso perché comporterà, nolente o volente, un cambiamento di vita, un doversi abituare a nuove realtà, e il dispiacere e la malinconia di dover lasciare la terra amata, per un qualcosa che non si sa, per un’incognita. Dalla lettura sembra che il distacco più difficile e sofferto non è quello del protagonista, ma quello del padre che deve trasferirsi per lavoro dalla Calabria a Sondrio: nonostante si sappia che ci sarà il ricongiungimento di tutta la famiglia, quello del padre è il trasloco descritto con maggiore sofferenza e tristezza, forse anche perché è il primo di una lunga serie. Nella seconda parte delle memorie le vicende della guerra condizionano la vita del protagonista e i distacchi, i trasferimenti, che sono forzati, sono naturalmente dolorosi, difficili, a volte avventurosi come quello da Sciacca a Roma, e tragici come quelli riguardanti la deportazione in campo di concentramento dovuti alla prigionia di guerra.
I rapporti amorosi sono molto diversi tra loro e tutte le volte sembra una nuova esperienza-storia e si va dalla prima con Mimma a forse il rapporto più importante della prima parte della vita del protagonista-autore con una donna molto più grande di lui, adulta, che gli fa conoscere cosa sia il sesso e godere dello stesso. Significativa la relazione con Lucia e Tatiana, a proposito della quale il protagonista descrive di sentirsi come tra due fuochi, oltre per la contemporaneità dei due rapporti perché sono molto diversi e da entrambi è attratto: molto più fisico e forse sessuale quello con Lucia, molto più platonico quello con Tatiana da cui è attratto solo per starle insieme, vicino, senza dover fare chissà che cosa, forse la prima volta che trova in una ragazza non solo il rapporto fisico-sessuale, ma anche quello psicologico e mentale. Il rapporto che ha con Maria Rosaria e Iolanda è molto diverso da quello con Maria, la guardarobiera di Sciacca, e con Diana: se con le prime c’è vero innamoramento, grande attrazione anche mentale e si apprezzi la bellezza, con le seconde viene esaltato il rapporto sessuale in sé e la fisicità del rapporto sessuale. Quasi tutti i rapporti sessuali, in modo particolare il primo con Maria, sono descritti nei minimi particolari, grande spazio viene dato all’atto sessuale e a volte si scende nei dettagli più intimi. L’autore usa nel descrivere l’atto sessuale comportamenti e figure che derivano dal mondo animale e animalesco con un’insistenza per l’aggressività, l’essere selvaggio delle figure protagoniste, il loro aggredirsi, attaccarsi; in contrapposizione al mondo animale utilizza figure e immagini provenienti dal mondo vegetale, in particolare i fiori, per descrivere la bellezza, la sensualità e la dolcezza delle donne amate. Queste metafore e figure utilizzate, soprattutto le seconde, sono ampiamente utilizzate in letteratura e forse c’è un tentativo dell’autore di rifarsi a grandi scrittori del passato.
Una costante dei rapporti amorosi è l’estraniarsi dalla realtà che circonda la coppia raggiunge il vertice durante la Seconda Guerra Mondiale per la forte contrapposizione con la situazione politica e storica in cui avvengono i rapporti amorosi: i bombardamenti, le fucilazioni, le città distrutte, la povertà e l’annientamento di tutto e di tutti. L’unione con la propria donna pone idealmente il protagonista su un piano più elevato e gli sembra che niente e nessuno possa intaccare questa unione perché comunque destinata a sopravvivere agli eventi ed essere eterna come con Iolanda a Firenze quando è in corso la guerra civile in città: se qualcosa dovesse succedere sarebbero comunque consolati dal fatto di essere una cosa sola per l’eternità. Questo estraniarsi dalla realtà e dai rapporti sociali quotidiani e porsi a un livello più elevato, superiore, nel consumare questo amore, è un elemento ricorrente in letteratura: qui non ci sono persone che avversano le unione amorose, non sono amori ostacolati da altre figure e personaggi, ma sono i traslochi, i trasferimenti, i distacchi, la guerra che pongono ostacoli al proseguimento di vicende amorose e quindi nell’estraniarsi, nell’annientamento si può vivere e si può godere di queste relazioni.
Un elemento fondamentale di queste memorie è rappresentato dalla Seconda Guerra Mondiale e dalla guerra civile, temi importanti che condizionano la vita di tutti, in modo particolare quella del protagonista che è ufficiale dell’Aeronautica: sono importanti gli anni che vanno dallo sbarco degli Alleati in Sicilia nel luglio del 1943 a quelli della raggiunta libertà ottenuta nell’ottobre 1945, che coincide anche con la fine delle memorie. Non che gli anni precedenti non siano importanti, ma visto che il protagonista non va al fronte non viene toccato dagli eventi, se non marginalmente: stesso trattamento avviene per il fascismo che solo episodicamente viene trattato dall’autore. Sicuramente, come detto, sono le relazioni amorose a essere il punto centrale delle memorie, ma sembra strano che il fascismo sia trattato così poco dal momento che influenzava sicuramente la vita di tutti i giorni e di tutti anche nelle relazioni interpersonali, a maggior ragione per un ufficiale dell’Aeronautica. Solo nell’ultima parte dei ricordi, con l’infuriare e lo scatenarsi della guerra civile e con la deportazione poi viene meno la trattazione dei rapporti amorosi perché per forza di cose non erano possibili e viene dato spazio alle tematiche politiche, storiche e di guerra del tempo. Dapprima in Sicilia con i bombardamenti operati dagli alleati si sente l’eco del conflitto, ma soprattutto a Roma con Diana e a Firenze con Iolanda la guerra civile si sente fortemente con tutte le conseguenze che porta. I rapporti con Iolanda a Firenze diventano più radi perché la situazione in città e in Toscana è sempre più difficile, cruenta e ostile e inoltre viene a instaurarsi con forza tutta la tematica legata alle vicende della guerra civile.
All’interno di questa situazione drammatica di Firenze si inserisce una tematica prettamente politica e di guerra e viene abbandonata qualsiasi trattazione amorosa: la guerra che distrugge tutto e tutti, annienta qualsiasi cosa, ha distrutto anche l’amore e le donne dell’autore che può solo godere del ricordo dei tanti amori del passato.
Il protagonista assume una funzione importante all’interno del movimento di liberazione come reclutatore di partigiani, nonostante fosse un ufficiale dell’Aeronautica. Questo doppio ruolo è interessante e stimolante: grazie ai rapporti con un ex ufficiale dell’esercito divenuto partigiano diventa un’importante “selezionatore” di militari pronti a combattere per liberare Firenze e l’Italia dai tedeschi. Viene descritta con particolare amarezza, rabbia e quasi revisionismo storico la reazione dei partigiani nei confronti degli italiani, loro concittadini, che avevano appoggiato il regime fascista o che erano sospettati di aver appoggiato il regime. Sono duramente attaccate dall’autore le esecuzioni sommarie compiute ed è raccontato un episodio, di cui è stato protagonista, nel quale racconta come abbia salvato molte persone dalla quasi certa fucilazione, compreso lui stesso. Insieme all’ultima parte dedicata alla deportazione e alla prigionia politica, questa è sicuramente quella descritta meglio, con grande realismo, nella quale il lettore non può che essere coinvolto.
Altro momento e periodo importante all’interno dei ricordi è l’ultima parte caratterizzata dall’assenza dell’amore, di figure femminili rimpiazzate dal dolore e dalla sofferenza della prigionia come appunto prigioniero di guerra: qui c’è solo sofferenza, tristezza e rabbia per un’ingiustizia che si sta vivendo. Ritengo sia importante sottolineare le considerazioni di amarezza e tristezza espresse dall’autore per la ferocia con cui è trattato da italiani suoi concittadini e tutto è dominato da un senso di sconfitta e non si capacita del fatto che possano esprimere sentimenti così forti e violenti verso di lui che alla fine dei conti aveva arruolato partigiani ed era stato fatto prigioniero politico perché giudicato erroneamente ufficiale della R.S.I.
La deportazione, il campo di concentramento e le condizioni disumane in cui è stato costretto il protagonista non possono che annullare, annientare qualsiasi possibilità di amare, di avere rapporti sessuali: è l’unico periodo temporale di tutti i ricordi dove non compare la figura di una donna amata e la figura maschile appare con forza in figure negative come quelle di soldati che fanno violenza psicologica e figure amiche e solidali come quelle dei compagni di tragedia, prigionieri politici anche loro.
Altre figure importanti che compaiono nei ricordi sono i preti e le suore anche alla luce dell’ultima postilla fortemente critica con la Chiesa Cattolica. Interessanti sono la figura di Don Leone e dell’Arciprete presenti a Sondrio che in qualche modo rappresentano due modi di rapportarsi, di vivere la fede e di svolgere la loro missione: se da una parte c’è il prete alla portata di tutti, sempre presente, con una parola di conforto e sempre disponibile ad aiutare, dall’altra c’è il prete distante, come se fosse l’autorità ieratica e lui stesso la divinità da adorare, che fa parte delle gerarchie e inavvicinabile. Messi a confronto si mettono in evidenza quelle differenze e contraddizioni più ampiamente descritte nella postilla finale.
Nella descrizione e trattazione dei componenti della famiglia spicca, oltre alla sorella Lidia, quella della zia Ninetta. Sembra che la zia assolva il ruolo della madre, è lei la vera madre, quella che ha tutte le attenzioni, che si accorge di quando le cose non vanno e che in qualche modo regge l’equilibrio familiare. È adorata da tutti, tutti sanno che possono fare affidamento su di lei, è in qualche modo insostituibile. Ma quando deve tornare dalla sua famiglia, altro elemento di forte distacco, cambiamento, non sembra che da parte del protagonista in fin dei conti ci siano tutte queste negative conseguenze. Per tornare a un elemento che è già stato trattato, non sembra mai, in nessuna circostanza, che il protagonista soffra più di tanto per un amore cui deve rinunciare, un affetto familiare da cui si deve allontanare.
Filippo Zagni
[1][1] Archiloco, poeta greco di epoca arcaica coniò il linguaggio amoroso, desumendolo dal vocabolario bellico. A partire dalla sua produzione vennero utilizzati termini guerreschi anche in campo amoroso.