Serenella Scipioni – editrice totem

 

Serenella Scipioni
  
 
Trionfo d’aurora
  
romanzo
 
 
 
n.13 collana clan
editrice totem
 
 
1990
 
 
 
 
Introduzione
 
  
 
Nell’incanto irripetibile di un’intensa delizia, avviluppata da fiabeschi e magici trasporti di lirismi fantasiosi, assorta contemplo intrecci sfumati di foglie che, come minute ballerine, volteggiando lentamente da imponenti e vetusti alberi, decorano sul terreno, esalante energici aromi autunnali, capolavori arabeschi simili ad iperbolici tappeti, invitanti a volare lontano, verso aree sovrumane, colorite da oniriche ed impalpabili dimensioni.
Immersa nella favolosa evanescenza sognante, con lieve affanno desidero interiorizzare sensazioni, profumi, colori, sfumare doni elargiti dalla natura, come incentivo a purificarsi, ascoltando contemporaneamente l’eterna musica classica, con la precisa volontà, di avvicinarmi al recupero vitale, emanato dai variegati aspetti del prezioso rapporto ritmato fra natura e musica; risorse inesauribili, vibranti forti valori, duri a resistere, se si riesce a trovare la capacità di abbeverarsene, in un mondo smarritosi, in maniera che possano aiutare a consolidare la convinzione della meraviglia di essere nati, vivi, di essere persone.
Il proposito d’ascensione è fragile. Il vuoto sovrastante i brevi incanti è un cerchio soffocante che si effonde pian piano, fino a recintare lo spazio circondante. Nel raffinato accoppiamento cromatico della stagione autunnale, sentita da alcuni pensatori, apportatrice di insospettabili maturità e di malinconiche riflessioni trionfanti riguardo la caducità universale, la mente, uniformandosi al bigio del cielo, dell’aria, del sole dai pallidi raggi, subordinandosi ad uno stadio avanzato di incostanza interiore, sprofonda in una cupa apatia.
Emergenti scosse spirituali, aperte all’intero cosmo, similmente alle foglie, quando si staccano dai rami, con la macabra delicatezza di un tremolante volteggio, si schiudono a paure strettamente individuali: paura di vivere, di morire, di affrontare la realtà, paura di ritrarsi da essa. Con lucida razionalità noto che il dominio della mia persona ad ogni istante si eclissa. Sminuisce sensibilmente la capacità di saper la bellezza della natura.
Nel 2030 dopo Cristo, a colpo di stato mondiale avvenuto, rigurgitano espressioni di vita, di pensiero che credevo ormai sotterrate dalla vitalità dell’arte, della giustizia, della pace, del senso di socialità vittoriose. Le debolezze che nel corso della vita hanno permesso di superare me stessa, sono vissute proprio nel culmine del trionfo, come ostacoli insormontabili.
La resistenza etica in continua evoluzione, il bisogno imperioso dello sviluppo, la passione per gli ideali, la capacità di saper fronteggiare i dolori, le privazioni, i sacrifici, sapendoli vivere come altrettanti nutrimenti spirituali, carichi di messaggi da saper leggere, si sono frantumati in qualcosa di gretto, di chiuso, di mediocre. Non riuscendo ad allontanarmi dalla sgradevole realtà e a rifugiarmi nel sogno, nell’abbandono fantastico, annichilita in una disperata incontentabilità, ascolto l’interminabile e antico ticchettio dell’orologio, accompagnatore costante nelle ore della nostra vita accentuare una prorompente solitudine involutiva, degenerante in un estremo malefico torpore corporeo e psichico.
Perfida, sento aleggiare una forza demoniaca premente ad estraniarmi dalle attività, a fugare il coinvolgimento da impegni asfissianti dagli sterili profitti evoluti. Oltrepassando la consapevolezza, nonostante con l’aiuto del vento, della notte e della penna, miei cari ultimi effimeri amici, cerco di captare una sia pur minima causa degli oscuri vuoti voraginosi dominanti, rimango inebetita, disgustosamente irremovibile.
Orologio …! Come vorrei poterti risentire rapidissimo, quanto desidererei che accrescessi nuovamente quell’insaziabile avidità di fare, agire, nella potente gioia vitale di adoperarsi, sentendosi un unico essere con il mondo, con l’umanità. Quanto desidererei quei momenti frementi d’illuminazione che mi spingevano a lavorare per esigenze personali e sociali, con la conseguente tensione del giorno che, sul finire, faceva fluttuare con gioiosa agitazione l’impegno verso me stessa e il mondo.
Me stessa, l’umanità, cosa significano? Assorbita da torturanti ansie che si dilatano, non trovando alcun conforto nell’amicizia, nell’amore, nella sublime poesia, musica, arte, nella natura maestosa, selvaggia, delicata, disperati e felici ristori costituenti un inno al mondo, all’intera vita, non ritrovandomi negli eterni valori, addentrata nel vortice abissale, fagocitante, in un profluvio di lacrime, con dolorosa autocommiserazione non riesco ad uccidermi.
Sto vivendo l’atroce e sofferta orribile combinazione dell’incapacità di vivere e della mancanza di coraggio a morire. Debole a vivere e incapace a morire! Né viva, né morta, non riesco a capire cosa mi trattiene in vita. Forse gli occhi gonfi di stanchezza? L’aridità mentale? Una gran voglia di dormire senza riuscire? Lo strano caldo autunnale? Le annoiate persone affacciate ai balconi? I panni stesi? Lo scattante nervosismo dei gesti?
Il dolore che non riesco più a provare, echeggiante solo a momenti? La mancanza di una speranza? La vanità? Gli aspetti dimessi del quotidiano? O trattasi di una superficiale vigliaccheria, di un falso lamento, o di una voluta e controllata follia? Inerme, in ripugnante compagnia di me stessa, attorniata da una serie di smarrimenti, di confusioni inesprimibili, sovrastate da un gelido, disumano e ispiratore silenzio, in un innalzarsi estemporaneo di vigore analitico, mi sforzo di riappropriarmi del tempo, ricercando nel pensiero e nel sentimento una risposta, un assoluto irraggiungibile, compiendo una rivisitazione globale del mio passato, dei miei pesanti e leggiadri trascorsi.
Esistenzialmente, non sono forse note le memorie storiche, le consapevolezze, le domande scaturite da un’indecifrabile noia rivolte all’universo senz’alcuna risposta? Niente è più vivido. Anch’io pur stupita sto rincorrendo il buio.
Un buio micidiale perché ebbro di esperienza. Il vigore analitico sembra dissolversi in immensi precipizi. Nonostante questo momentaneo contrasto tra speranza e depressione mi sento a malapena credente e fiduciosa nelle infinite possibilità della mente umana, impossibilitata a spiegare tutto ciò che sento, non sempre ci si riesce; la sola ragione è risaputo, non basta nella vita, cerco comunque fin dove la mia tenue forza volitiva e analitica può arrivare nel penetrare il baratro spirituale, per potermi meglio difendere dagli assalti distruttivi, di far fuoriuscire verità sconosciute.
La curiosità si fa larga. Deve sapere, poi forse mi ucciderò. Se riuscirò ad avvicinarmi a un frammento di  verità, a trovare uno spiraglio di luce, questa anche se multiforme, costituita da una miriade di risvolti, approderà penso nel negativo. Ma invasa da una strana forza cercherò ugualmente di sapere…
Serenella Scipioni

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