Ogni lettore, quando legge, legge se stesso.
L’opera dello scrittore è soltanto
una specie di strumento ottico
che egli offre al lettore
per permettergli di discernere
quello che, senza libro,
non avrebbe forse visto in se stesso.
(Marcel Proust)
ISBN 978-88-96690-32-1
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In copertina: Sabrina Fossati – Viaggio nei colori del cuore – olio e acrilico – 80×60 – 2013.
Gianfranco Cotronei
Il dialogo interiore
di Silvana Valente
monografia
N. 52 COLLANA IMPORTANT
Editrice Totem
1
La vita
2
Opere, premi
3
Il nodo critico
1
La vita
Silvana Valente (24 novembre 1963), non vedente dalla nascita, trascorre l’infanzia e l’adolescenza a Valli del Pasubio, in provincia di Vicenza. All’età di 6 anni entra in collegio a Padova per frequentare le scuole per ciechi, fino al conseguimento del diploma di massofisioterapista.
Nel 1986 si trasferisce a Schio, dove apre uno studio di fisioterapia e si dedica con passione alla libera professione.
All’età di 23 anni, comincia a dedicarsi con impegno agli sport all’aria aperta, conseguendo, nel ciclismo su tandem, importanti risultati in ambito mondiale e paraolimpico.
È stata campionessa del mondo di tandem nel 1998 e vincitrice di tre medaglie olimpiche alle Paraolimpiadi di Sidney.
Nel 1998 a Colorado Springs vince il titolo mondiale a cronometro nel tandem misto; alle paraolimpiadi di Sidney 2000 ha vinto la medaglia d’argento nell’inseguimento con la guida Fabrizio Di Somma, sfiorando l’oro di pochi centesimi, oltre a due medaglie di bronzo nel chilometro con partenza da fermo e su strada.
Ai Campionati Europei ho ottenuto: sei ori, tre argenti e due bronzi.
In campo nazionale ha vinto diciannove titoli italiani nelle varie specialità di strada, cronometro e pista (inseguimento e km con partenza da fermo); due Grand Prix e due Coppe Italia.
Dal settembre 2009 fa parte del Consiglio Federale Nazionale del CIP (Comitato Italiano Paraolimpico).
2
Opere, premi
«La mia vena artistica ha cominciato a manifestarsi all’età di circa 14-15 anni, quando componevo testi per canzoni e poi li mettevo in musica suonandoli alla tastiera. Sciolto il gruppo musicale, ho cominciato a scrivere qualche poesia, ma è a partire dal 2009 che l’attività creativa è diventata molto più intensa. Ho partecipato per due anni al concorso letterario per racconti brevi, indetto dalla biblioteca di Monticello Conte Otto (Vicenza) entrando nei 30 finalisti.
Ho pubblicato nel 2010 la mia prima raccolta di poesie dal titolo Il volto del silenzio, con lo scopo principale di raccogliere offerte che ho devoluto in beneficenza. Nel 2011, insieme a uno dei miei compagni di tandem, l’amico Carmelo Rigobello a cui sento di dovere infinita riconoscenza, ho pubblicato la seconda raccolta: “Tandem – in sella alla poesia”.
Tandem scaturisce da questa bicicletta a due posti che mi ha regalato grandi soddisfazioni in campo internazionale, ma che è anche uno dei mezzi necessari per me, che sono non vedente, per praticare sport.
Con un gruppo di amici sensibili all’attività di solidarietà presentiamo un reading di musica e poesia, dove le poesie diventano canzoni e sono intervallate da un racconto “Tandem” scritto da Carmelo Rigobello intendendo come tandem anche un mezzo capace di creare intesa e di regalare emozioni.
Nel 2012 il mio racconto La vita oltre il sogno ha ricevuto una segnalazione al Premio letterario Nazionale “Voci…Verdi”.
Nel dicembre 2012 ottengo un secondo posto al concorso “Racconta le azioni solidali” organizzato dal Centro Servizi Volontariato di cui sono socio consigliere con la poesia “Non disturbare questo silenzio”.
Nel concorso di poesia annuale organizzato dal Gruppo Sportivo Non Vedenti Vicenza di cui sono socio consigliere ho conseguito un secondo e un terzo posto rispettivamente con le poesie “Natura infinita” (2010) e “Corona di gemme e di spine” (2011).
Nell’ottobre 2013 risulto tra i primi dieci al Premio Nazionale Poesia Edita Leandro Polverini nella sezione poesia crepuscolare con il libro Il volto del silenzio».
gentile Silvana Valente,
siamo lieti di comunicarle
che il suo libro di liriche
Il volto del silenzio
all’esame della giuria ha ottenuto l’assegnazione dell’8° posto nella sezione poesia crepuscolare
con la seguente motivazione.
Un lessico personale di ellittica eleganza,
di contemporanea esattezza
laddove parole che una lunga ascendenza
ha estenuato limandole fin quasi
a renderle trasparenti, puri suoni
di un’arcaica lingua estinta,
derubata dei suoi referenti,
acquistano, straniate nell’oggi,
nell’urto con la poetica crepuscolare dell’oggetto,
la forza di segnali di un nuovo codice lirico
che l’Autrice modula armonicamente
attraverso il collante linguistico
e il fondale ambientale e paesaggistico.
Il presidente della giuria
Tito Cauchi
«Partecipo volentieri ai concorsi di poesia, perché per me il premio più ambito è essere raccolti in un’antologia, leggere gli elaborati degli altri e sapere che gli altri leggono i miei per un piacevole e stimolante confronto.
Ringrazio quanti, dedicandomi un po’ del proprio tempo hanno contribuito a farmi stare in armonia e vivere serenamente, valorizzandomi e collaborando concretamente alla mia realizzazione personale e sportiva. In particolare nutro infinita gratitudine per l’amico e compagno di tandem Carmelo Rigobello che, facendosi carico di preparare e pubblicare le mie due raccolte di poesie, ha contribuito a farmi realizzare il sogno che non osavo sognare».
Silvana Valente è stata inserita nella Antologia del Premio Nazionale 2013 per la Poesia Edita Leandro Polverini.
Riportiamo il testo della locandina realizzata in occasione della presentazione della raccolta Il volto del silenzio.
■ ■ ■ ■ ■
In collaborazione con il Comune di Monte di Malo, nell’ambito del progetto “Dal conflitto alla convivialità delle differenze” presentiamo
sogni musicali 2°
concerto musicale degli “artisti” di “Cantare Suonando” diretti dal maestro Marco Porcelli con la partecipazione straordinaria dell’atleta del gruppo sportivo non vedenti di Vicenza
Silvana Valente
che presenterà Il volto del silenzio sua raccolta di pensieri e poesie.
Apre la serata Il Piccolo Coro “San Giuseppe” diretto da Elena Zordan.
Sala polifunzionale
Scuole elementari Monte di Malo
venerdì 1 aprile 2011 – ore 20,30
ingresso libero
Progetto realizzato col contributo del centro di servizio per il volontariato della provincia di Vicenza.
Il nodo critico
Silvana Valente è un soggetto creativo consapevole della condizione di liquidità postmoderna in cui si trova ad agire il suo corpo biologico e biografico dando vita ad una scrittura pervasa di nodi tematici liricamente scandagliati sull’onda di una simbiosi continua e necessaria tra poesia, sensi e ambiente.
Gli oggetti palpati, odorati, ascoltati fungono da propulsioni estensive di un’emozione piena nel suo continuo gioco d’inarcature psichiche e di felici strategie compositive anche laddove alcune scelte formali subiscono i vincoli dell’apprendistato e risentono di un novecentismo non privo di qualche sfumatura orfica.
L’Autrice vuole restare vicina a quel colore emotivo che porta aderenza timbrica e sintattica a certi moti che poi riesce a ricondurre a qualcosa di concreto tenendo presente che la poesia è strumento che tende ad un superamento e non può limitarsi ad aderire al reale.
L’intelligenza quasi sensuale della versificazione di Silvana Valente è anche nel peso specifico del suo canto laddove riverbera ancestralità profonde che appartengono più ai tempi lunghi dell’evoluzione biologica che non a quelli brevi della storia.
In proposito, riportiamo integralmente la poesia “Nuda” dalla pag. 25 della silloge Tandem.
Nuda
Mi metto nuda
davanti allo specchio dell’anima
agli infiniti dubbi dell’esistenza.
Mi scopro nuda
come quando si viene alla luce
e il corpo aspetta ancora la carezza del cielo.
Mi trovo nuda
a temere il dolore e la paura
a guardare le tante facce di una stessa verità.
Davvero nuda
a frugare dentro le tasche della mente
a fidarmi delle sensazioni percepite a pelle.
Eccomi nuda, ma il corpo non basta più agli occhi
e i pensieri mi spogliano il cuore.
Stanotte nuda
ad assecondare le pulsioni dell’amore
in un velo avvolgente di dolcezza e calore.
Mi sento nuda
quando un brivido mi percorre i pensieri
quando mi tuffo nel domani
per scontare gli sbagli di ieri.
La concentrazione di senso nelle intenzioni dell’Autrice veneta registra una sapiente capacità ologrammatica di contenere l’immagine dell’intero paesaggio, perché non solo la parte è nel tutto, ma il tutto è nella parte.
Ridonerò al mio corpo l’energia che sale dalla terra
ascolterò sottili vibrazioni
cavalcherò la luce dell’alba
e come un falco ferito ricomincerò a volare
Certo, per la poesia il problema è pur sempre quello di organizzare linguisticamente la densità dell’esperienza con un efficace senso del montaggio, lo stesso che scrive: Ridonerò, ascolterò, cavalcherò, ricomincerò laddove il corpo fonico della lingua e la lingua dell’agire del corpo, del suo movimento e della sua logica, si richiamano continuamente e dove il corpo viene usato come trampolino di lancio per una fuga che di corporeo non ha più nulla.
Altrove, l’Autrice si muove, pericolosamente e con un certo qual fascino dell’avventura, lungo i binari di una ricerca che la porta a sondare se stessa attraverso il recupero di versi che bucano la carta della pagina.
Ho lasciato che si aprissero tutti i canali del piacere
perché ogni cosa acquistasse più sapore
…
sento scorrere in me tutta l’energia dell’universo
qui sulla via della trasformazione
le luci penetrano l’ombra
e magicamente mi ritrovo nella vita.
La mente degli uomini, in genere, si arresta di fronte alla soglia del mistero e non sa sondarne la profondità, rinunciando, nella maggior parte dei casi, a coglierlo ma Silvana Valente nella sua identità ritrovata usa lo strumento sicuro della poesia, un timone fatto di parole e di segni.
Un mattino sostai per specchiarmi alla fonte
sulle ali della mia anima a riflettere un istante
…
Continuai a specchiarmi
e per la prima volta
mi accorsi dell’altrui bellezza e della mia.
Non si può rimanere indifferenti dinanzi all’impennata antropologica di questi versi che rivelano un io generoso e capace di modellarsi sugli altri con uno stile singolare e molto raro che ormai appartiene solo ai pochissimi che resistono alla dilagante disumanizzazione di questi tempi.
■ ■ ■ ■ ■
Quindi, nella produzione edita ed inedita – oggetto di questo studio – della poetessa veneta squarci lirici di lacerante profondità si accoppiano a letture della realtà di più ampio respiro alla presenza di un dialogo continuo con un tu spesso in scena, una sorta di accompagnamento che, rispettando il ritmo e il respiro, sostiene una melodia.
La presenza di un forte nucleo di soggettività lacerato che vorrebbe ricomporsi all’interno di una possibilità esistenziale nuova ci fa insistere sulla poesia “Identità ritrovata” a pagina 46 della raccolta Il volto del silenzio che in parole nude e lacere scrive la propria silenziosa lettera al mondo.
Il mio corpo e il mio spirito laceri, smunti, inariditi
portavano tutti i segni di una o più vite senza regole.
Ogni poesia è anche un confronto con la parte oscura, nascosta, segreta di se stessi, un viaggio in un proprio personale mondo che rende viva la sostanza dell’esistere in un cammino lirico sentito come libera esigenza interiore, teso a scavare nelle pieghe dell’inconscio, tessendo un dialogo largo, totale, inusitato, con l’umano e con l’oltre. La poesia “Fuga” – sempre dalla raccolta Il volto, cit., pagina 11 – che riportiamo integralmente, è molto esplicativa di quanto sostenuto poco sopra.
Raccogliendo tutta la forza del cuore e dell’anima
con un filo di voce ti ho pregato di andartene via.
Amore, solo per amore ho rinunciato all’amore
mentre dentro morivo dalla voglia d’essere tua.
Innocente o colpevole fuggo
trascinando con me infiniti pensieri
prima di avvertire un peso difficile da reggere
accorgermi che sia tu a non volermi più.
Una fuga al di là del bene e del male che si scontra inevitabilmente con l’asistematicità della vita, la sua apparente casualità, l’esperienza quotidiana del limite e della perdita, la domanda sul perché il nostro futuro ci risulti inesorabilmente avvolto nelle brume indistinte dell’oscurità, del mistero, del dubbio.
Silvana Valente dispone su pagine intense versi dal timbro asciutto capaci di affabulare, avvincere e suscitare riflessioni sul tempo, la natura, l’amore, la transitorietà dell’essere: motivi universali filtrati dalla osservazione del reale attraverso l’intelligenza del cuore oltre che della mente.
E condividiamo appieno quanto scrive Antonio Stefani in prefazione a Tandem, quando rileva che la poetessa veneta non indulge al lirismo privato bensì opera “una chiamata collettiva a considerare ogni esperienza degna di essere affrontata, sforzandosi di ricavarne non tanto un senso, ma la spinta a cercarne altre … …senza banalità consolatorie ma, invece abitando la battaglia”.
La natura è madre, compagna, sorella, principio interrogante cui viene data voce, presenza, attenzione da parte di una figlia di un dio minore pronta ad attraversare intimi colloqui, silenzi e quiete per meditativi soliloqui sospesi tra finitezza e infinito.
Natura infinita
Sto all’ombra delle tue grandi foglie
ti respiro e t’accarezzo con gli occhi.
Odo i tuoi canti e disegno voli
bagnandomi nel fiume della vita.
Grande natura, pagina avvincente
impressa tra le pieghe della mente.
Sei per me più d’una preghiera
che mi fortifica lo spirito.
Tu sei una goccia di cielo nel blu
raggio di luce nel cuore del tempo.
In te natura infinita mi plasmo
osservo, scrivo, dipingo
ringrazio.
Questa raffinata capacità di travalicare i confini fisici di sensazioni e sentimenti pervade molta parte della produzione della poetessa veneta sempre attenta a non fermarsi sui limiti delle persone, come giustamente scrive Carmelo Rigobello nella introduzione al libro di poesie sopra citato.
E troviamo adorabili le sdolcinature romantiche e i richiami alla poesia pascoliana di cui scrive Franco Pepe nella sua sapida e ricca prefazione al volume. Ed ancor di più ci piace la consonanza dell’Autrice con il poeta di San Mauro laddove il prodotto lirico non ha nessuna pretesa di imporre e di imporsi bensì deve far contento chi lo scrive.
■ ■ ■ ■ ■
In “Alchimie” – poesia inedita del 2012, che riportiamo integralmente – Silvana Valente incontra incontenibili zampilli capaci di “dire” all’infinito, ben oltre i limiti di un chiuso componimento, riverberando una innata ed archetipa sensibilità d’amore.
Dolcissimi, irresistibili
i frutti multi sapore d’ogni nostra passione.
Affascinante, ricca di mistero
la ricerca infinita di luce interiore.
Incontenibili gli zampilli di vita
che attraversano corpo, aura, spirito.
Doloroso o piacevole, ma necessario
varcare i confini del bene e del male.
Invincibile l’attrazione:
questa forza che non forza eppure s’impone.
Si ripropone il posizionamento nicciano fra l’apollineo e il dionisiaco superando la linea del bene e del male – di cui già sopra abbiamo parlato – ma l’Autrice ci sorprende con il colpo d’ala del magnifico ultimo verso che raggiunge un raro bilanciamento lirico. Appunto, il bilanciamento tanto caro al Pascoli, che rifuggiva dagli estremi furori dannunziani.
■ ■ ■ ■ ■
Altro elemento fondante della produzione in esame è il contatto primordiale con l’intuizione della musica come metafora privilegiata della natura che si realizza attraverso scelte tonali e coloriture timbriche dipendenti dal contesto cognitivo e immaginativo della poetessa veneta. La sua voce si fa più nettamente lirica quando si identifica nella voce irripetibile della natura, interpretandone i segni più freschi e vivi, diventando grido quando l’emozione è tanto forte da non potersi più contenere nella voce umana.
…
Una, cento, mille anime di tutto ciò che vive
e si riproduce fondono in coro le loro voci
si librano in un volo senza fine.
Di concerto, ogni albero intona il suo più bel canto ogni fiore e filo d’erba odora di vita che si tramanda.
Il cinguettìo degli uccelli
il susseguirsi delle stagioni
regalan musica per ogni tempo
di un ciclo semplice ma mai banale.
…
I versi appena citati da “Corona di gemme e di spine” inedita (a pag. 45 della raccolta Tandem è presente una diversa poesia con lo stesso titolo) contengono anche il tema del volo, simbolo abbastanza ricorrente nelle strofe di Silvana Valente che ama sfumare l’inevitabile drammaticità di una poesia sentita a fondo nel suo animo in qualcosa che si allontana nell’aria diventando un puntino di speranza.
■ ■ ■ ■ ■
L’Autrice ama alternare poesie e pensieri scritti con una prosa concentrata e veloce, quella di un dialogo serrato e avvincente laddove l’esperienza soggettiva adombra un luogo che avanza di molto il piano dell’io, né ha veramente a che fare con i consueti lamenti sulla finitezza o sul carattere transeunte, effimero dell’esistenza. L’io e l’altro, soggetto ed oggetto, mondo interiore ed esterno, natura e non-natura ingaggiano una dura battaglia, la lotta impietosa del riconoscimento, il trauma dell’assenza e dello spaesamento, vissuto in modo radicale e senza indulgenze.
Il frequente riferimento, non ostentato ma calato nelle pieghe interne dei testi, a luoghi psichici di un indefinito spazio-tempo conduce a situazioni narrative in cui la storia dei nostri giorni si mostra nella ordinaria complicanza senza sbocchi di un’impetuosa corrente ricolma di rimozioni che appartiene a un filone della sensibilità senza comode tregue per il lettore.
Indicativo, in tal senso, è il monologo teatrale breve È forse ancora tempo di vivere dove passato e futuro confliggono in una battaglia silenziosa e incerta, che offre lo spunto ad un passaggio di efficace compiutezza stilistica e immaginativa, conclusa da un soprassalto memoriale che affonda nel dolore individuale ed ha anch’esso valore paradigmatico.
Una scrittura discorsiva e ragionante, perciò, che narrativamente si sporge dall’oggi sull’orlo di un altrove tanto inesplorato, quanto insopprimibile per l’esistenza di ognuno, dove conta la finalità condivisa, non rinchiudendosi nella confortevole gabbia dell’io, nella contemplazione del proprio tormento o dissoluzione, o in facili speranze.
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In Oltre ogni confine – altro racconto breve – l’Autrice descrive il disorientamento che assale una persona quando qualcosa di sconosciuto ne trasforma il corpo o quando il dolore ne deforma la percezione del mondo.
Pur nel breve spazio narrativo del racconto, possiamo rilevare abilità nel creare un clima psichico dissociato, uno scricchiolio appunto della realtà reso per sottrazione stilistica e personale laddove l’affondo veloce accerchia il lettore mettendolo alle strette.
Il finale, poi, di sapore squisitamente carveriano, fa capire quanto Silvana Valente lavori la pagina in un continuo affinamento delle sfumature e delle pause quando la lei narrante in un suo empito affettivo donna-uomo ascolta lui parlare di un’altra faccia dell’amore.
■ ■ ■ ■ ■
Tornando alle poesie inedite siamo rimasti coinvolti dalla richiesta di condivisione che l’Autrice esprime nei versi di “Campane tibetane” ispirati dall’ascolto di un concerto di campane tibetane, tamburi sciamanici, tamburi oceanici, gong, conchiglie e altri strumenti suggestivi.
Campane tibetane
vibrazioni sacre
Suoni che riempiono di pace i miei sensi
che mettono ancora in contatto terra e cielo.
Armonia di luce e vibrazioni celestiali
che cullano questo mio viaggio senza fine.
Ora come mai fuoco e acqua si uniscono
e un vento maestro li conduce a baciare la terra.
Sonorità incantevoli si riverberano
nel mio profondo.
Fluisce nuova energia nel corpo e nella mente.
Chiudo gli occhi e mi dirigo verso l’infinito
l’immensità e l’intimità di ogni attimo di eterno.
Il dettato tesaurizza scorie utopiche laddove riduce liricamente l’inno ad una autobiografia del piacere e per questa via all’elegia collegando il frammento “di ogni attimo di eterno” ad un immaginario collettivo di antica radice, che assume il senso della rivelazione. Quindi la poetessa veneta, attraverso un suo canto quasi sciamanico, ci disvela un oltre finora sconosciuto, il connubio di corporeo e cosmico.
E, a nostro avviso, è proprio questa e solo questa la funzione della poesia. Oltre, naturalmente, come accennavamo sopra, far contento chi la scrive.
Ma c’è dell’altro.
A fronte di tanti libri di poesia ricolmi di lamenti, pianti, tormentosi affanni, apocalissi e disgrazie, apparentemente autorizzati da certa paludata critica corrente tutta succube del complesso della corazzata Potemkin, non possiamo non condividere il tono e le scelte tematiche di un’Autrice, che, pur avendone più che validi motivi, rifugge dal piagnisteo imperante e rende viva una poesia esistenziale e amica: “dovunque andrò, ti porterò dentro di me, nei miei pensieri liberi”.
Così anche condividiamo a supporto quanto scrive Tito Cauchi su Il volto.
“La sua è poesia del cuore e solo entrandoci possiamo goderne. Silvana Valente si apre al mondo, si affida con fiducia, capace di librarsi liberamente nella sua evasione in un ‘dialogo interiore’. È infiammata d’amore, ringrazia la sorte ed è fiduciosa. Nondimeno traspare, nella raccolta, il contrasto tra le ragioni del cuore e quelle della ragione”.
La poetessa veneta riesce a riconsiderare l’elemento primigenio del linguaggio, il canto, alla base dell’espressione poetica anche quando l’adozione di un tono basso e un numero minore di modulazioni ritmiche, ma soprattutto lessicali si alternano in un gioco di evanescenze.
Altrove, alcuni segnali stilistici e tecnici sono la spia della presenza di quell’oscillazione tra fiducia e sfiducia che ha caratterizzato, per grandi linee, la poesia del secolo breve, il Novecento appunto, laddove lo spazio invece di chiudersi nella verbalizzazione si alimenta all’infinito in un moto perpetuo e pendolare: guizzi di vita celati dal silenzio/ schiacciati ormai dal peso di questi bui giorni. Qui è pronunciato il moto oscillatorio della parola, che apre lo spazio che vorrebbe circoscrivere, che subisce lo spazio che vorrebbe colmare. Lo sforzo non può che risultare una corsa sul posto, un gesto che piega il corpo su se stesso.
A conclusione del presente studio, siamo certi che Silvana Valente perdonerà le nostre insolite intrusioni nella sua sfera creativa e nelle sue intenzioni poetiche e narrative. Sicuramente, il nostro è stato un viaggio piacevole insieme ad un’Autrice capace di regalare tanto di sé donandoci la gradevole sensazione che sempre proviamo quando la bella persona coincide con la sua bella poesia.
Recensione del critico letterario Tito Cauchi a Silvana Valente, Il volto del silenzio, Ancos, Vicenza 2010, Pagg.72.
Silvana Valente è nata e cresciuta a Valli del Pasubio (Vicenza) nel 1963, è residente a Schio dove si dedica alla professione di fisioterapia in uno studio da lei diretto. Forse proprio perché fin dalla nascita, non abbia il dono della vista, ha sviluppato maggiormente gli altri sensi: pratica lo sport del ciclismo in tandem e in altre discipline; fra i suoi interessi abbiamo brevi racconti, canzoni e poesie accolti con favore dai fruitori; e tanta voglia di vivere.
Carmelo Rigobello riferisce nell’introduzione, di avere conosciuto la Nostra, nel Gruppo Sportivo Non Vedenti Vicenza, pedalando insieme con lei la bici-tandem e dichiarando altresì, che attraverso i loro percorsi, era lui a imparare a vedere il mondo con una visione nuova. E Franco Pepe aggiunge che l’io lirico di Silvana è profondo, capace di “mordere la roccia”, giudicandola persona di robusta tempra da paragonarsi, alla poetessa russa Anna Achmatova, o a Saffo, ma anche al Leopardi della speranza; individuando alcuni echi pascoliani e crepuscolari. La sua poesia è un “orizzonte quotidiano” di tutto ciò che la circonda, e i paragoni di sopra lo dimostrano.
Il volto del silenzio è raccolta divisa in due sezioni, ma esse sono un continuum di sentire e di cantare: come dice il sottotitolo, Poesie e Pensieri, questi ultimi differiscono, praticamente, solo per la maggior enfasi. La versificazione è prosastica, un profluvio di parole che sottostà solo al sentire intimo. Le iterazioni sono frutto della voglia di comunicare, un fiume in piena, ma senza rapide; sono un inno, un’ode, esse sopperiscono alle immagini. La sua è poesia del cuore e solo entrandoci possiamo goderne. Silvana Valente si apre al mondo, si affida con fiducia, capace di librarsi liberamente nella sua evasione in un ‘dialogo interiore’. È infiammata d’amore, ringrazia la sorte ed è fiduciosa. Nondimeno traspare, nella raccolta, il contrasto tra le ragioni del cuore e quelle della ragione.
Lei, donna, interpreta il pensiero di tutte le donne. La donna che fa rinunce ad ogni costo, è la coscienza del tempo e Silvana lo è del compagno. Alla donna innalza una lode, la tiene alla pari della poesia: “Tu donna per dovere, madre per amore,/ figlia di qualcuno che ancora non ha un nome,/ hai combattuto e vinto battaglie quasi perse, coltivando profonde, risorse./ Dio solo sa come./ Hai atteso con pazienza che venissero tempi migliori, e se perdi il passo, ne resti fuori.” (pag. 14). Immedesimatasi nella madre, forse, teme d’averla delusa, ma la madre la rassicura di avere fatto da padre e da madre, da figlia e da marito e gliene è grata.
I momenti di vivere la ‘Natura infinita’, sono per Silvana Valente come i grani di un rosario, come la sua preghiera che la innalza, consapevole delle sue cadute e della capacità di rialzarsi; sa che la natura purtroppo è deturpata. Godendo di momenti lirici di bellezza avverte, in maniera accentuata, l’inquinamento dell’aria, ben comprendendo che la vita è rappresentata pure dal polline trasportato dal vento e che tutta la natura andrebbe amata. I suoi sono momenti di intima sofferenza: “Non dirmi mai cosa farai di me.” In quanto all’amore, pare che dica: l’amore che si vuole bisogna prima darlo; così per ‘San Valentino’ dice: “L’amore vero dà e non toglie,/ libera e non incatena,/ sgorga spontanea e non s’impara,” (pag. 27).
Momenti di disperazione: “Dio! Quanto odiai la grande forza dell’amore cieco/ che si ostinava a trascinarmi sempre più lontano da me./ Finii per calpestare anche l’erba dei miei prati/ e incespicare tra i rovi/ per tentare di raggiungere te.” (pag. 31), ugualmente ringrazia del dono della vita. Concentra in sé l’energia dell’universo. Si tenga presente la doppia valenza del modo di dire di essere ciechi e, altresì, tenere presente la sensibilità maggiormente intensa, da parte di chi non goda di tutti sensi. La Poetessa ha sviluppato i sensi per comprendere l’ambiente, intensamente e in maniera diversa, così ci confida: “Resto in ascolto/ ed ecco arrivarmi vibrazioni sottili,/ rumori quasi impercettibili, stimolanti messaggi/ come pane per la mia mente.” (pag. 36); in questi versi abbiamo preghiera ed atto di fede; e la notte, elemento suo naturale, le dà ore serene di riflessione.
Silvana Valente si interroga sulla richiesta d’aiuto che, secondo lei, tutti, una volta almeno nella vita, ne avremo pronunziata la parola; perciò richiama il dialogo, come atto di solidarietà, ma invita anche a non soffocare. Sente forte il senso dell’amicizia e a un tu dialogico, che può riferirsi a tutti o solo a se stessa, confida le sue ansie, le sue convinzioni, la ricerca del senso della vita; trasmette il suo bisogno di fisicità dei corpi, perciò vorrebbe tornare bambina. Innalza un ‘Inno alla vita’, nel riuscire a vedere (a sentire) con sguardi (con sensi) rinnovati le stesse cose. Così sotto metafora del fico, giunto a maturazione, sa che sarà staccato da una mano. Così il sentire sulla pelle, la fa simile a tutti gli esseri umani, con i suoi desideri. Se l’uomo si fa tramite fra Dio e gli altri uomini, fra cielo e terra, la Nostra esce da sé per parlarsi come fosse un compagno, in una sorta di confessione o di autocritica.
Silvana Valente si carica delle colpe del mondo come se fossero sue e, per non soffrire, farà finta di non sapere. Ha momenti accorati ma ugualmente sereni, dedicati a Thomas, morto in un incidente “in sella alla bicicletta”, e un gran dolore si avverte per una “figlia” che ha scelto il suo cammino: “Nadia gioiva di tutto e ringraziava per ogni momento di vita,/ ma il suo giovane cuore malato la portò troppo presto lassù tra le stelle.” (pag. 65). E pensare che ci sono figli che si rivoltano contro i genitori, che ci sono immigrati nel nostro Paese che noi evitiamo e la Poetessa si chiede chi fra le due parti è il vero straniero e credo che consideri condizione di straniero o di estraneità, quella di solitudine. Credo che scelga di concepire la vita come sipario che dà accesso nell’agone quotidiano, con i colori dell’arcobaleno che sono di gioia, ma anche con qualche incertezza, che avverte nell’aria.
Tito Cauchi
Introduzione di Carmelo Rigobello a Silvana Valente, Il volto del silenzio – poesie e pensieri, Ed. Ancos, Vicenza, 2010.
Con la parola “tandem” ci si riferisce comunemente ad un oggetto (una bicicletta a due sellini e a doppia coppia di pedali….) ma anche ad un legame configurato come intesa: dunque, una macchina, costruita dall’ingegno umano, capace anche di divenire “luogo” per una indefinibile, intensa relazione di sentimenti. Così, due persone possono riscaldare la macchina stessa che diviene a poco, a poco, complice di scoperte, di emozioni, di un solfeggio intimo di silenzi e di parole. Il tandem-macchina acquista la dimensione di un palcoscenico ma è anche il solo soggetto autorizzato ad ascoltare, a sostenere quel mondo di sentimenti, trasferendoli da un territorio all’altro da un tempo all’altro nella cadenza delle ore e dei destini di vita.
Tandem con Silvana significa proprio fondere carbonio, alluminio, acciaio, gomma e plastica in parole, silenzi, domande, esclamazioni, paure, gioie e via da Schio su per valli del Pasubio. E passare a Posina, o andare ad Asiago, o salire per i Tretti perché c’è poco tempo, e piombare poi nel lavoro avendo rubato, alle veloci lancette dell’alba e del primo mattino, un’avventura.
Silvana l’ ho scoperta così, sul suo tandem; non mi ha mai chiesto di essere i suoi occhi ma, semplicemente, di farla, qualche volta, uscire “in bici” perché pedalare è energia pulita e sana, perché fare fatica è benessere, brucia le tossine, perché comunicare è la vita, e su un tandem si svolge una continua, gratuita telefonata, senza intermediazioni tecnologiche, disturbata al massimo dai rumori delle auto o delle moto o, talvolta (con me, tanto raramente…..) dall’alta velocità che sappiamo dare al tandem.
Silvana mi ha detto subito che un suo limite è di essere non vedente (precisando, non cieca perché potrebbe essere confusa la sua cittadinanza, ma neppure diversamente abile perché è frutto dell’ipocrisia di chi ha poco da fare se non coniare “giri di parole”…): la sua filosofia è che non ci dobbiamo mai fermare sui limiti delle persone anche se abbiamo la tendenza a fissare la pagliuzza nell’occhio dell’altro; dobbiamo invece scoprirne valori, qualità, potenzialità: mi ha subito messo in discesa!
E così tra una pedalata, una parola, un silenzio, ho cercato non tanto di darle i miei occhi per confermare il suo entusiasmo per la bellezza della vita, della natura, dello sport, ma quello che sono e prendendomi quello che è, non vergognandoci di nulla, mai barando.
Colgo in Silvana una vitalità splendida che è poi la sua vera, affascinante poesia, confermata nel tempo da qualche scambio di e-mail; dopo qualche anno di incontri e pedalate, per la verità non molte ma bellissime, mi è sembrato un valore non tenere il tutto chiuso nel nostro tandem, ma di far “girare” la sua poesia.
Tutto il resto è, allora, questa pubblicazione che ho voluto per rendere anche forte e diffuso il mio grazie a Silvana e a tutte le persone che fanno parte del Gruppo Sportivo Non Vedenti Vicenza: con loro vedo nuovi territori, nuovi colori, nuovi sorrisi, percependo che li vediamo insieme.
Carmelo Rigobello
Prefazione di Franco Pepe a Silvana Valente, Il volto del silenzio – poesie e pensieri, Ed. Ancos, Vicenza, 2010.
“Il volto del silenzio fu l’inseparabile compagno del mio viaggio. A lui affidai il tempo che non spesi, i dubbi che non ebbi, i frutti che non colsi. All’ombra del silenzio distesi il mio corpo e i miei pensieri. Con labbra mute, occhi rossi, mani vuote e piedi freddi, incontrai tante profonde solitudini, mentre cercavo gli sguardi dell’amore”.
C’è un lirismo sorprendente nei versi di Silvana Valente. La sua voce sgorga insaziabile dalle viscere della terra, goccia tenace che non si stanca di mordere la roccia, e attrae con la spazialità prorompente dell’arcobaleno. Qualche volta, quando parla d’amore, sembra cogliere echi di Anna Achmatova, componente del gruppo Acmeista, la più alta espressione della poesia russa, moglie del poeta Nikolaj Gumilev, fucilato nel 1921 come controrivoluzionario, donna straordinaria di cui il Premio Nobel Iosif Brodskij diceva: “È uno di quei poeti che, semplicemente, ‘avvengono’, che sbarcano nel mondo con uno stile già costruito e una sensibilità unica. Non somigliò mai a nessuno”.
Intima delicatezza, bruciante passione, rassegnata malinconia, appassionata consapevolezza di ciò che vorrebbe tenere stretto fortemente a sé per sempre e invece fugge via inesorabile. Scrive Anna nello “Stormo bianco”: “Lascio la casa bianca e il muto giardino. Deserta e luminosa mi sarà la vita. Nessuna donna saprà cullarti come io ti celebro nei miei versi; non scordare la tua cara amica nell’Eden che hai creato per i suoi occhi, per me che spaccio una merce rarissima e vendo il tuo tenerissimo amore”.
Scrive Silvana: “Amore, solo per amore ho rinunciato all’amore, mentre dentro morivo dalla voglia di essere tua. Innocente o colpevole, fuggo trascinando con me infiniti pensieri, prima di avvertire un peso difficile da reggere, accorgermi che sia tu a non volermi più”. Oppure questo altro tenero pensiero: “Non ti chiederò di accettarmi, né di considerarmi. Di te io son la parte più nascosta, forse la più vera. Posso starmene qui tranquillamente ad osservarti, e sentirmi una tra le mille cose che hai e non usi”. O ancora: “No, non dirmi mai cosa farai di me. Neppure io so bene cosa ho fatto di te. Non dirmi, e non darmi niente di più di ciò che mi spetta. Ti dirò e ti darò solo allora tutto quello che potrò. Puniscimi se vuoi, perdonami se puoi, ma posa il tuo sguardo ancora su di me, che vedrò con i tuoi occhi, parlerò con la tua voce, canterò in tutte le lingue, e in ogni popolo ritroverò te”.
O anche: “Lascia che l’amore abiti il tuo cuore, cogli il suo respiro, intona il suo canto”…. C’è un raffinato filo che conduce a frammenti di Saffo: “Oh, se io fossi…..se potessi entrare nei tuoi pensieri; se bastasse così poco per averti, forse, non ti cercherei”. Amore amato, cercato, sognato, odiato. Rinnegato come un falso oracolo, come uno stolto inganno, come una sofferenza imposta dagli dèi. “Quanto odiai la grande forza dell’amore cieco che si ostinava a trascinarmi sempre più lontano da me. Finii per calpestare anche l’erba dei miei prati, e incespicai fra i rovi per tentare di raggiungere te”.
La sua infelicità è la ricerca di una felicità non avuta. Non è solo l’amore che si allontana dai suoi passi; il dolore è anche esistenziale per una vita che si piega dinnanzi ad un destino che torna ogni volta a chiedere il conto. “Grazie per quel niente che ho ricevuto, per questo cielo grigio che mi sovrasta, per questa oppressione che mi devasta il cuore….Grazie per le tante soddisfazioni che mi sono state tolte, costringendomi ad inventare spiragli di felicità o, almeno, fingere di averla vissuta”. Non è il dolore cosmico leopardiano (del poeta di Recanati c’è il significato del sabato, il senso della speranza quando spiega: “la mia felicità è già nell’attesa, nel desiderio di ciò che verrà o, non verrà, domani”).
È , bensì, una storia personale, dominata da quella che i greci dell’antica Ellade, maestra e culla di civiltà, chiamavano la “moira Kaké”, il fato avverso, non favorevole, ma senza, in fondo, mai arrendersi perché a vincere è, ogni volta – dice Silvana – il “cielo che ho dentro”, e perché in lei vibra la venatura classica di una filosofia laica che ripropone il tema caro ad un grecista della fama di Carlo Diano, della catarsi come purificazione e soluzione finale: “Ciò che accade, e ciò che ci appartiene, è giusto che sia per il nostro bene”. Non mancano in Silvana le “discese ardite e le risalite”, le proiezioni, qualche volta infantili, in un mondo magico e colorato come fosse un gioco: dire, fare, baciare, oppure: oh, quante belle figlie, Madama Doré, oh, quante belle figlie…. Non mancano le figure retoriche, qualche sdolcinatura romantica. Non mancano i richiami alla poesia pascoliana e crepuscolare. Epperò, ecco i voli in una natura impressa nelle pieghe della mente, ma sempre benefica, fra un sole di mezzanotte che riscalda, e un vento che rinfresca il viso come una rapida carezza, e i ritorni bruschi all’introspezione, alle domande senza risposta sull’esistenza. “E più vorrei tornare in porto, più mi spingo verso il largo”. “Di cielo in cielo, di cuore in cuore, sono arrivato lontano ma ora non so più tornare”.
Domande, ma anche delusioni, momenti di cupo sconforto. “Non mi resta che raccogliere i cocci di un costrutto distrutto fuori e dentro di me. Svilita, confusa, accetto la sconfitta”. Qualcosa che evoca la celebre lezione del “meriggiare pallido e assorto”, alla ricerca di topoi letterari, di Eugenio Montale: “E andando nel Sole che abbaglia sentire con triste meraviglia com’è tutta la vita e il suo travaglio in questo seguitare una muraglia che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia”. Poi, la ripartenza di Silvana, come ritrovare la voglia di imprimere più forza sui pedali anche senza vedere la strada…..Come dire: “fermate il mondo, voglio salire”. “Ridonerò al mio corpo l’energia che sale dalla terra, ascolterò sottili vibrazioni, cavalcherò la luce dell’alba e, come un falco ferito, ricomincerò a volare”. Perché vivere è più forte di ogni morire. È amare ciò che si è. E l’amore più autentico. “È il dono della vita, mio unico grande amore, quello che niente e nessuno mi potrà togliere”. Silvana ha imparato a cadere e a rialzarsi, a sentirsi simile a gente che, per il mondo, non conta, ma che l’ha accettata per quello che era e che è, ne ha incoraggiata le scelte mediate fra ragione e sentimento.
Silvana ha appreso l’arte di combattere e camminare, di percorrere vie nuove, di esplorare, scrutare, interrogarsi, di aspettare, di imparare ad ascoltare e ad ascoltarsi, di chiedere aiuto, di affrontare una lotta impari contro “chi mantiene nel cuore uno scettro”, di sentire affetto per l’amico che sa dare voce alla sua voce e riesce ad illuminare anche il sentiero più buio. Silvana ha carpito il segreto di assaporare la vita imparando a leggere la vita con occhi diversi per cercare di scoprirne i vantaggi più profondi. La sua non è poesia universale, ma orizzonte quotidiano e incompiuto di una creatura fragile e forte, di finitezza. È sfogo e preghiera, consolazione e distruzione, incendio e pace, amarezza ed entusiasmo, orgoglio e umiltà, ferita e balsamo, ansia e serenità, rabbia e dolcezza, fremito e balbettio, angoscia e desiderio, caduta e resurrezione, sconfitta, vittoria, con barlumi, qualche volta squarci, di vera ispirazione. Un punto sulla terra. Piccola mano protesa. Dito puntato verso l’alto. Perché, alla fine, ciò che conta veramente è guardare in tutte le direzioni, osservare, percepire, cogliere e raccogliere da qualsiasi angolazione si guardino le cose. Perché importante è “vedere”.
Franco Pepe
Antonio Stefani
pedalando poesia
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prefazione alla raccolta di poesie
tandem
di Silvana Valente e Carmelo Rigobello
Per chi non lo sapesse, Silvana e Carmelo pedalano assieme veramente, in tandem.
Dubito che, sbuffando in qualche rampa, trovino il tempo (e il fiato) per declamare versi. Però, fateci caso: il ritmo di quando si va in bicicletta, specie quello meno duro di pianura, induce una sorta di mantra interiore dove flussi di pensieri sgorgano e si mescolano all’emozione per i panorami che, intanto, si attraversano. E può capitare che, in virtù di certe misteriose alchimie, anziché brandelli degli appunti mentalmente fissati durante quella vita assaporata di corsa, trovino posto, fra altre parole, quelle buttate giù a caso su una pagina, in forma di poesia.
Ma in ciò che vi apprestate a leggere c’è soprattutto dell’altro. Molto altro. Vale a dire quella disponibilità a svelarsi, quell’esercizio di pubblica confessione che necessariamente accompagna – non sempre in modo gradevole – chiunque, con la poesia decida di misurarsi.
Fortunatamente, però, Silvana e Carmelo non ci affidano soltanto due taccuini personali che, in quanto tali, potrebbero tranquillamente tenere riposti nel cassetto. Non c’è un solo loro componimento, infatti, che non chiami in causa direttamente il lettore, invitandolo – quasi sfidandolo – a riflettere sui temi canonici dell’essere, dell’io nel suo rapporto con gli altri.
Questa, insomma, è tutt’altro che un’espressione di lirismo privato: è una chiamata collettiva a considerare ogni esperienza degna di essere affrontata, sforzandosi di ricavarne non tanto un senso, ma la spinta a cercarne altre. A guardare la bellezza del mondo – e la complessità dello stare al mondo – traendo da lì lo stupore necessario a non dare mai nulla per scontato, a ricavarci un insegnamento ed uno sprone. Senza banalità consolatorie ma, invece, “abitando la battaglia”.
C’è qualcosa di più bello e incomprensibile della natura? C’è qualcosa di più prodigioso e terribile della mente umana? Forse no. O forse sì. Comunque, vale sempre la pena di accettare il gioco e pure di chiedersi se un giorno finirà per sempre e amen, o magari ne comincerà un altro. Chissà come, chissà dove. Chissà se con lo stesso animo o, scoprendosi anima.
Per il momento qui, pedalare bisogna. Aiutarsi bisogna, come nel tandem. E nemmeno scriverci sopra; evidentemente è fatica sprecata.
Antonio Stefani